Un cuore debole e troppo rigido, che non riesce a pompare sangue in modo adeguato. È quello che soffre di scompenso cardiaco, una condizione che danneggia gli organi principali e che porta alla morte la metà dei pazienti che ne soffrono nel giro di 5 anni dalla diagnosi. A soffrirne sono oltre 1 milione di italiani che devono ricorrere spesso alle cure ospedaliere: lo scompenso è causa di 500 ricoveri ogni giorno per un totale di 165mila all’anno, con una durata media di degenza che supera i 10 giorni. Numeri che ne fanno la seconda causa di ospedalizzazione dopo il parto. Per informare e sensibilizzare su questa condizione 41 centri cardiologici organizzano incontri e attività aperti alla popolazione dal 1° all’8 maggio. L’iniziativa si inserisce nell’European Heart Failure Awareness Day, campagna europea di sensibilizzazione e informazione promossa dal 2010 dalla Heart Failure Association (HFA) della Società Europea di Cardiologia (European Society of Cardiology – ESC).
A coordinare le attività delle giornate europee dello scompenso cardiaco, promosse con il Patrocinio del Ministero della Salute e il supporto non condizionante di Novartis, sarà l’Unità Scompenso e Cardiomiopatie dell’AUSL di Piacenza. Nei 41 centri coinvolti ci sarà la partecipazione attiva di clinici (cardiologi, internisti), fisioterapisti, infermieri, psicologi, dietologi e altro personale sanitario, pazienti, volontari e istituzioni. In questa campagna, vengono organizzati open day (“ospedale aperto”), incontri educazionali e attività di sensibilizzazione sullo scompenso cardiaco, per informare sui sintomi, sull’importanza di una diagnosi precoce e sugli stili di vita idonei a prevenire questa patologia.
“Lo scompenso cardiaco è spesso una malattia subdola, scambiata erroneamente per il normale progressivo invecchiamento. E invece è una patologia che va riconosciuta e trattata per tempo per non avere ripercussioni anche gravi”, ha sottolineato Massimo Piepoli, membro del board di Hfa e responsabile Unità Operativa Scompenso e Cardiomiopatie, Ospedale di Piacenza. “Si riconosce solo ciò che si conosce, per questo è così importante l’educazione e l’informazione”, sottolinea Nadia Aspromonte, responsabile programma scompenso cardiaco Ospedale San Filippo Neri.
I fattori di rischio dello scompenso cardiaco
Quali sono quindi i fattori di rischio? Secondo i risultati di uno studio del National Health and Nutrition Examination Survey, i principali fattori di rischio per lo scompenso cardiaco sono rappresentati da: fumo di sigaretta (16%); ipertensione arteriosa (10%); obesità (8%); sedentarietà (9%); diabete mellito (3%). A provocare l’insorgenza dello scompenso cardiaco è generalmente un evento cardiovascolare, per esempio un infarto miocardico, o una patologia pregressa (cardiomiopatia, endocardite, miocardite, malattia delle valvole cardiache etc.), che modificano la struttura cardiaca. Ma in alcuni casi la causa rimane ignota. I sintomi a cui prestare attenzione, soprattutto in presenza di uno o più fattori di rischio, sono dispnea e affanno; facile affaticamento con ridotta tolleranza allo sforzo, anche leggero; congestione o ritenzione di liquidi specie polmonare e/o a carico degli arti inferiori; debolezza generalizzata.
“Questa non è una patologia che inizia e finisce in un tempo dato, ma si evolve”, spiega ancora Aspromonte. “Nella fase acuta si cerca di stabilizzare la situazione e abbiamo molti strumenti per farlo, a livello farmacologico e di device impiantabili. Quando lo scompenso diventa avanzato, cioè non è più trattabile, si può procedere verso il trapianto o l’assistenza ventricolare”.