La cura e l’attenzione per i propri defunti caratterizzano le culture umane che, da tempi antichissimi, hanno sviluppato modalità di sepoltura coerenti con le loro convinzioni religiose. La posizione dei corpi inumati, la presenza nelle tombe di oggetti cari ai defunti o utili per una loro eventuale vita ultraterrena, la munificenza e la grandiosità delle sepolture dei potenti, testimoniano lo sviluppo e l’affermarsi nel tempo di un culto dei morti che assume forme molto complesse nelle varie civiltà.
Nelle sepolture, tuttavia, il processo di disfacimento avviene abbastanza rapidamente, a seconda delle condizioni di temperatura e umidità del luogo in cui le sepolture stesse sono situate; solo le ossa, talvolta, possono conservarsi per centinaia o migliaia di anni. Su questi ritrovamenti si basano solitamente le ricerche degli studiosi che indagano sulla genetica, sulla struttura fisica e sulle condizioni culturali delle popolazioni.
In casi eccezionali, come in alcune regioni aride e desertiche d’America, Africa e Asia, sono stati ritrovati resti umani non decomposti, grazie a processi naturali di essiccamento e mummificazione che hanno conservato frammenti più o meno cospicui delle parti molli. Sulle Alpi Venoste, in Val Senales, i resti di Otzi, l’Uomo di Similaun, hanno subito un processo di mummificazione naturale, avvenuto questa volta per congelamento.
Albert Zink
Ötzi, Tutankhamon, Evita Peron.
Cosa ci rivelano le mummie
Il Mulino – Farsi un’idea – 2016
pp . 106, Euro 11,00
Antiche e nuove tecniche
Nel suo breve e ben documentato testo, Albert Zink – paleopatologo, direttore scientifico dell’Istituto per le mummie e l’Iceman dell’Eurac Research di Bolzano – descrive tre tipi di mummificazione: la prima, dovuta a processi naturali, che avviene senza alcun intervento umano, la seconda, naturale intenzionale, che si basa su processi naturali ma viene praticata intenzionalmente per scopi cultuali e religiosi, la terza, artificiale, che richiede trattamenti specifici allo scopo di preservare il cadavere dalla decomposizione.
Le pratiche di mummificazione artificiale sono antichissime e dobbiamo ad esse il ritrovamento dei corpi quasi intatti dei Faraoni egiziani, delle loro regine ed anche degli animali che ne avevano accompagnato la vita.
In tempi moderni, tecniche di imbalsamazione hanno permesso di sottrarre al degrado, per lungo tempo, personaggi di grande rilievo politico, come Lenin o Evita Peron e, all’inizio del XX secolo, il preparatore e imbalsamatore Salafia, a Palermo, ha perfettamente conservato il corpo di Rosalia Lombardo, una bimba di circa due anni detta la “bella addormentata”.
Il sapere degli egizi
Nelle civiltà antiche, lo studio e la ricerca sperimentale di sostanze che preservassero artificialmente i defunti era compito di tecnici specializzati, degli alchimisti e dei primi chimici che conoscevano il potere essiccativo di sali, balsami ed erbe medicinali. Zink descrive con grande competenza le interessanti e complesse pratiche che hanno permesso la conservazione dei corpi per più di 4000 anni. Così in Egitto, fin dal 2500 a.C, dopo aver estratto dai cadaveri gli organi interni che venivano raccolti in appositi recipienti, si introducevano nelle cavità del corpo sali come il bicarbonato di sodio, aromi, cere, bitumi, lasciandoli agire per tempi anche molto lunghi in modo da assorbire ogni umidità. Lunghe fasce avvolgevano strettamente i corpi essiccati che, rivestiti con vari strati di panni di lino, venivano infine deposti nei sarcofagi, spesso riccamente dipinti.
Le mummie così trattate ci parlano oggi delle malattie, delle deformazioni e delle condizioni di vita degli uomini di quei tempi, e la paleopatologia permette di fare confronti tra differenti gruppi etnici. La paleoepidemiologia e la biologia molecolare testimoniano, per esempio, le patologie a cui le varie popolazioni erano soggette e, in particolare, ci informano sulla presenza della tubercolosi africana fin dal 2000 a.C. .
Oetzi, la mummia naturale
Un capitolo del libro è dedicato alle indagini compiute su Oetzi, la mummia naturale di un cacciatore neolitico, vissuto intorno al 3200 a.C. e morto probabilmente per una ferita di freccia a una età di 45-50 anni. Le indagini non distruttive della medicina, della paleogenetica e delle nanotecnologie sono in grado, oggi, di dare informazioni sulle origini e sul gruppo genetico di quest’uomo, probabilmente discendente da progenitori comuni a rari gruppi che vivono oggi in Sardegna e Sicilia. L’istituto per le mummie e l’Iceman dell’EURAC sono tuttora impegnati a risolvere, con studi sempre più approfonditi, i tanti interrogativi posti dall’osservazione di un ritrovamento veramente eccezionale.
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