Il suo nome è tutt’altro che rassicurante. Sia in inglese, lionfish, che in italiano, pesce scorpione. E in effetti c’è poco da fidarsi. Si tratta di un formidabile predatore che può raggiungere fino a 40 centimetri di lunghezza, dai colori sgargianti e dalle armi temibili: 13 aculei che svettano sulla pinna dorsale e 3 sulla pinna anale, in grado di inoculare un veleno altamente tossico, che si mantiene attivo fino a 48 ore dopo la morte dell’animale. Ciò che lo rende diverso – e molto più insidioso – rispetto agli altri esseri velenosi che popolano gli oceani, però, è la sua altissima invasività: originario delle acque del mar Rosso e dell’oceano Indiano, il pesce leone si è espanso nel corso degli anni nell’oceano Atlantico, lungo le coste degli Stati Uniti e fino al Mar dei Caraibi (vi è stato introdotto accidentalmente, sostiene qualcuno; con dolo, dicono altri). E nel 1992, tramite il canale di Suez, è arrivato per la prima volta nel Mediterraneo.
Poco tempo fa, come racconta uno studio appena pubblicato sulla rivista BioInvasion Records dagli scienziati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e della American University of Beirut, è successo quello che si temeva da tempo: il pesce scorpione ha iniziato a nuotare nelle acque italiane.
Secondo gli esperti, le ragioni per preoccuparsi ci sono. E riguardano, al di là della tutela dell’ecosistema, la nostra salute.
Perché, come si diceva, il pesce scorpione è molto velenoso: “A parte i pericoli per l’ecosistema”, ci dice Ernesto Azzurro, ricercatore Ispra esperto di specie aliene e coautore dello studio, “non possiamo tener conto del fatto che si tratta di una specie che mette a rischio anche la salute umana”.
La puntura del pesce scorpione crea infatti un dolore forte e persistente, spesso associato a sintomi sistemici come nausea, vomito, febbre, convulsioni, difficoltà respiratoria e diarrea. Nei casi più gravi, spiegano dall’Ispra, la parte colpita può andare incontro a necrosi locale e a una perdita della sensibilità che può durare anche per molti giorni. La prima cosa da fare dopo una puntura è rimuovere eventuali spine, disinfettare e immergere quanto prima la parte colpita in acqua molto calda: il calore, infatti, rompe la struttura proteica della tossina riducendo il dolore. “Va sottolineato che si tratta di un veleno più potente di quelli di meduse e tracine”, continua Azzurro. “Ci sono stati anche casi fatali”. L’allarme per il pesce scorpione ricorda quello suscitato lo scorso anno dalla caravella portoghese, una colonia di polipi (spesso confusa con una medusa) dai tentacoli lunghissimi (fino a 50 metri) il cui veleno provoca intenso bruciore e dolore e, nei casi peggiori e nei sospetti a rischio, anche arresto cardiaco. Complice l’innalzamento delle temperature e il riscaldamento delle acque, anche la caravella portoghese, come si teme faccia il pesce scorpione, ha progressivamente invaso il Mediterraneo, affacciandosi sulle spiagge di Spagna, Corsica, Malta e, per l’appunto, Italia.
Per ripercorrere la storia dell’invasione del pesce scorpione, si deve tornare indietro agli anni Ottanta. Quando, per la prima volta, furono osservati degli esemplari di pesce scorpione al largo delle coste della Florida, molto lontano dalla loro regione di origine. Ci sarebbero voluti oltre vent’anni, però, perché la specie fosse riconosciuta come invasiva, come ha sottolineato Amanda Nalley, esperta della Florida Fish and Wildlife Conservation Commission. E a oggi ancora non è chiaro quale sia stato l’effettivo impatto dell’invasione sulla biodiversità locale: quello che è certo è che i pesci scorpione hanno predato diverse specie responsabili della pulizia dei coralli delle alghe, inficiandone lo stato di conservazione.
Col passare del tempo, gli scienziati cominciarono a intuire la pericolosità della specie, dovuta soprattutto alla sua estrema adattabilità a temperatura, profondità e salinità dell’acqua e alla mancanza di predatori naturali. Considerazioni che spinsero i ricercatori a invitare i pescatori subacquei a rimuovere ed eliminare gli esemplari di pesce scorpione trovati in mare, per cercare di limitarne l’invasione. Una strategia che, evidentemente, non è stata sufficiente. Nel 1992, come racconta Demetris Kletou, direttore del Marine and Environmental Research Lab di Cypress, furono avvistati infatti per la prima volta degli esemplari di pesce scorpione nel Mediterraneo orientale, al largo delle coste israeliane. “Dopo la prima osservazione”, ci spiega ancora Azzurro, “seguirono circa 15 anni silenti, in cui non furono avvistati altri esemplari”.
Non sappiamo se si sia trattato di un caso di invasione fallita o se la mancata osservazione sia stata solo questione di sfortuna: fatto sta che lo scorso anno i pesci scorpione sono improvvisamente (ri)comparsi nelle acque del Mediterraneo. In uno studio pubblicato a giugno 2016 sulla rivista Marine Biodiversity Records, Kletou e colleghi hanno denunciato l’inizio di una “invasione di pesci scorpione nel Mediterraneo, simile a quella già avvenuta nell’Atlantico occidentale”: Nel lavoro, gli scienziati raccontano di aver raccolto evidenze di “almeno 23 diversi pesci, di cui 6 sono stati eliminati” e di aver notato “per la prima volta in quell’ecosistema gruppi di pesci scorpione con intenzioni di accoppiamento” , mettendo in guardia sul “potenziale impatto ecologico e socio-economico che potrebbe derivare dall’invasione di pesci scorpione”.
Eccoci arrivati alla storia recente. In particolare, al settembre 2016, quando per la prima volta nella storia, un esemplare di pesce scorpione è stato fotografato un esemplare all’interno della Riserva Naturale Orientata oasi faunistica di Vendicari, in Sicilia. Da allora gli scienziati sono in allerta per i possibili danni all’ecosistema e per i pericoli che l’invasione può rappresentare per gli esseri umani: “Il pesce scorpione”, racconta ancora Azzurro, “è tra le specie più invasive al mondo. Si è espanso ovunque, con impatti molto profondi e talvolta devastanti per la biodiversità nativa”. Cosa fare per limitare l’invasione? L’intenzione degli scienziati dell’Ispra è quella di informare la popolazione dei pericoli e di mettere in piedi una rete di monitoraggio che coinvolga anzitutto i subacquei e chi si diletta con la pesca ricreativa, spingendoli a segnalare la presenza del pesce e a eliminarlo ove possibile. “Abbiamo fondato un gruppo Facebook, Oddfish, per raccogliere informazioni su catture e osservazioni di pesce non comuni nella propria area di pesca, cercando di essere particolarmente attenti alle nuove specie tropicali che stanno raggiungendo le nostre coste”. Chiunque catturi o avvisti un pesce scorpione, inoltre, è invitato a fotografare l’esemplare, congelarlo (se possibile), darne immediata comunicazione alla Capitaneria di porto locale e segnalarlo alla sede Ispra di Palermo ai numeri di telefono 091 6114044-7302574 e all’indirizzo mail alien@isprambiente.it.
Via: Wired.it