La medicina del futuro trova una nuova casa a Roma: qui è appena stato istituito infatti il Centro di Ricerca Interdipartimentale di Medicina Rigenerativa (Cimer). Il centro nasce grazie a Paolo di Nardo, cardiologo e docente dell’università Tor Vergata, da anni impegnato nella rigenerazione di tessuto cardiaco usando nanomateriali e cellule staminali.
Quali sono gli obiettivi del vostro centro?
Vogliamo creare un punto di contatto tra le diverse competenze del settore. La rigenerazione dei tessuti è un’attività ad alto livello di complessità, dove nessuno può pensare di affrontare il problema e risolverlo da solo. Abbiamo bisogno della collaborazione di menti diverse. Vorremmo che questo centro rappresentasse un punto di aggregazione tra competenze sparse per il mondo, al fine di massimizzare la nostra capacità di sviluppare soluzioni in questo settore. A questo scopo, il Cimer è aperto agli studiosi più brillanti che lavorano in centri di ricerca nazionali e internazionali e le industrie che possono essere interessate a condividere le conoscenze e le abilità tecniche per sviluppare congiuntamente nuove tecnologie.
Il CIMER è un centro di ricerca interdipartimentale. Quali sono le competenze dei vari gruppi che vi collaborano?
Negli ultimi quindici anni si è diffusa l’idea semplicistica e fuorviante che bastasse iniettare delle cellule per risanare come per miracolo gli organi malati. È tempo di affrontare l’argomento con maggiore logica e far comprendere che il nostro organismo, in ogni suo dove, non è fatto di un solo tipo di cellule ma da diversi tipi che si adattano alla matrice extracellulare, cioè quell’entità strutturale complessa che le circonda e le sostiene. Tutto il nostro corpo è la mirabile associazione tra cellule e matrice extracellulare. Il nostro obiettivo è replicare questa situazione. Ci vorrà del tempo, fatica e grandi investimenti. Per fare questo abbiamo bisogno di competenze che vanno al di là della medicina intesa classicamente, e per questo nel centro abbiamo matematici, scienziati dei materiali, chimici, ingegneri, fisici, esperti di bioinformatica, biologi e medici. Collaborare insieme allo sviluppo delle nanobiotecnologie aprirà la strada a nuove possibilità di cura.
Ma qual è la relazione tra medicina rigenerativa e nanobiotecnologie?
La medicina rigenerativa rappresenta la nuova frontiera multidisciplinare che si propone di riparare, rigenerare e sostituire tessuti o organi compromessi da malattie o traumi per ripristinare la corretta funzionalità fisiologica. Protagoniste di questa rivoluzione scientifica sono le cellule staminali e i nanomateriali. L’innovazione tecnologica prevede, infatti, la coltura di cellule non differenziate, su scaffold (impalcature) di materiale e forma adatti a promuovere la crescita e il differenziamento delle cellule che organizzandosi ricostruiscono il tessuto da rigenerare. Ad una prima fase in vitro (in laboratorio) segue la fase in vivo, che prevede l’impianto del nuovo tessuto nel paziente. I materiali utilizzati per sostenere l’intera architettura cellulare sono biocompatibili, in grado dare sostegno o riempimento senza indurre reazioni immunitarie di rigetto nell’organismo ospite, e di dimensioni nanometriche, per garantire una corretta interazione con le cellule così da favorirne l’adesione e la crescita.
Dunque la medicina rigenerativa è la medicina del futuro?
La medicina ha vissuto una lunga storia: dal tentativo di curare i meccanismi cellulari alterati con i farmaci si è passati al tentativo di sostituire l’intero organo malato. La carenza di organi così come il problema del rigetto, però, rendono impossibile curare tutti i pazienti. Ora sta arrivando il momento in cui riusciamo a essere estremamente selettivi e a sostituire anche solo alcune parti di un organo danneggiato restituendone l’integrità e la funzionalità, a partire da biomateriali della stessa persona in modo tale da evitare problemi di incompatibilità.
Qual è la ricerca che le sta più a cuore?
Quello che vorrei davvero è che si riescano a comprendere i concetti base dell’interazione tra cellule e matrice extracellulare, così da poterli applicare all’interazione tra cellule e scaffold. Questo aiuterebbe a massimizzare l’efficacia dell’impianto dei nuovi tessuti/organi. Riuscire a “rigenerare” il pancreas sarebbe un obiettivo bellissimo, visto il numero di diabetici in crescita esponenziale.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP della Sapienza Università di Roma