di Emanuela Dattolo, Francesca Italiano, Alessandra Pedriali
Pesca a rischio nell’alto e medio Adriatico, raccolti agricoli in pericolo nelle regioni meridionali, come Puglia e Calabria. Sono le conseguenze dei cambiamenti climatici globali, che colpiranno anche il nostro paese e le sue attività produttive. La fotografia della situazione italiana scattata dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR) nell’aprile da poco concluso, mostra infatti in modo evidente il clima quasi estivo e le temperature più calde della media stagionale, con un aumento di 1,65 °C rispetto al trentennio 1971- 2000.
A sottolineare come l’Italia sia tra i paesi europei in cui si prevede il maggior numero di conseguenze negative dovute ai mutamenti climatici è anche l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente “Cambiamenti climatici, impatti e vulnerabilità in Europa al 2016”. I cambiamenti osservati stanno già avendo importanti ripercussioni sulla salute umana, sulla biodiversità e sull’economia, colpendo in particolare i settori dell’agricoltura e della pesca. Ed è di questi giorni la pubblicazione delle nuove linee guida per evitare la sovrappesca e lo sfruttamento degli stock ittici da parte dell’organizzazione per la tutela dell’ambiente marino Oceana.
Ma quale sarà in effetti il livello di sensibilità ai cambiamenti climatici delle principali produzioni italiane? Il quadro emerge analizzando le produzioni ittiche (2014) e agricole (2011) in base agli ultimi dati disponibili forniti dall’ISTAT. Complessivamente i risultati emersi dall’analisi integrata dei comparti pesca (Figura 1) e agricoltura (Figura 2) evidenziano una preoccupante fragilità delle produzioni alimentari italiane, che potrebbero subire una rilevante riduzione e mettere a rischio la sicurezza alimentare del paese e le produzioni per l’export.
Nel dettaglio, l’elaborazione dei dati sulla produzione ittica mostra che i settori dell’Alto Adriatico, Medio Adriatico e Alto Tirreno sono i bacini potenzialmente più a rischio (Figura 1), in quanto presentano una forte preponderanza di specie con alta sensibilità all’innalzamento delle temperature, ovvero specie adattate ad habitat più temperati o freddi (range di temperature dai 12 ai 18°C). Se le temperature dovessero aumentare ulteriormente anche in queste regioni, potrebbe crearsi il cosiddetto effetto cul-de-sac: queste specie non potrebbero migrare più a nord alla ricerca di habitat più freddi.
Questi risultati sono in accordo con le previsioni della Food and Agriculture Organization of the United Nations, secondo cui “i cambiamenti climatici possano pregiudicare la struttura e la funzione degli ecosistemi acquatici costieri già stressati”. Per questo motivo il Mediterraneo e in particolare l’Adriatico sono stati sotto la lente di ingrandimento degli scienziati negli ultimi anni, in quanto bacini considerati particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e soggetti a particolari pressioni antropiche.
Oltre a incidere sulla distribuzione delle risorse ittiche locali, l’innalzamento della temperatura delle acque superficiali dei mari può anche agevolare l’insediamento di specie marine invasive. Se le temperature superficiali dovessero continuare ad aumentare (fino a 2.56°C – 3.1°C entro la fine del ventunesimo secolo), come cambierebbe lo scenario? Come inciderebbe sulla pesca nel Mediterraneo? Essendo il nostro mare un bacino chiuso, c’è il rischio che le specie locali più sensibili all’innalzamento della temperatura si ritirino nella parte più alta (Nord Adriatico ad esempio), fino a scomparire come caso estremo?
Sebbene il dibattito su quali fattori contribuiscano maggiormente al declino della pesca nel Mediterraneo (attività antropica sulle coste, sforzo di pesca eccessivo, variazione dei micronutrienti presenti nei mari, inquinamento) sia ancora in atto, l’innalzamento della temperatura delle acque superficiali sta avendo un ruolo importante sulla biodiversità del Mediterraneo, con conseguente impatto sulle attività di pesca, che dovranno probabilmente far fronte a un cambio di scenario.
Tra le altre conseguenze dei cambiamenti climatici si possono annoverare lo spostamento dei periodi riproduttivi e migratori di alcune specie ittiche, con conseguente impatto sulla disponibilità e abbondanza stagionale delle stesse e la diffusione di specie adattate a climi più caldi (fenomeno noto come tropicalizzazione del Mediterraneo).
Un futuro asciutto
Non solo pesca. L’analisi dei dati della produzione agricola (Figura 2) mostra infatti che anche l’agricoltura risentirà in misura importante dell’aumento delle temperature. Gran parte della produzione agricola italiana è infatti a rischio siccità, avendo un’impronta idrica medio-alta, con un picco del 50% della produzione totale ad alta sensibilità in Calabria, una delle aree italiane che secondo i modelli climatici elaborati dall’ISPRA sul clima futuro in Italia, subirà anche i maggiori effetti della diminuzione delle precipitazioni.
Per quanto i valori delle altre regioni si assestino su un valore di sensibilità medio, esso interessa la produzione di tutti i comparti regionali e rappresenta un dato esteso a larga parte delle produzioni di largo consumo come i cereali e il comparto dell’ortofrutta, nonché alle produzioni ad alto valore economico come quelle viticole.
Il cambiamento nei regimi pluviometrici, con una diminuzione delle precipitazioni medie e una conseguente minore disponibilità di adeguate risorse idriche, sta mettendo a rischio tutto il comparto agroalimentare italiano. Lo scorso aprile, come è stato evidenziato da Coldiretti su dati Ucea, si è avuta una diminuzione delle precipitazioni medie del 47,4% su scala nazionale, con picchi del 72% nelle regioni settentrionali. La mancanza di precipitazioni e gli sbalzi di temperatura, con gelate notturne fuori stagione, hanno messo in ginocchio il comparto agricolo che ha stimato danni per almeno 100 milioni di euro. I danni maggiori sono stati a carico delle produzioni viticole, dei frutteti e delle coltivazioni orticole all’aperto. Purtroppo questa che è stata definita dalla stessa Coldiretti “la peggiore crisi idrica del decennio” rischia di essere il preludio di un futuro asciutto. I modelli climatici segnalano infatti un probabile aumento dei periodi di siccità su tutto il territorio nazionale, con un aumento più marcato al Sud e nelle Isole, mentre l’incremento degli eventi meteorologici avversi e la progressiva riduzione delle scorte di acqua di falda interesseranno non solo le regioni meridionali ma gran parte della penisola, aumentando il rischio siccità per una gran parte della produzione agricola italiana.
Lo scenario qui rappresentato induce a tenere viva l’attenzione sulle politiche di gestione delle risorse idriche e sull’attuazione delle strategie nazionali di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici elaborate per contenere i danni e migliorare la capacità di resilienza dei sistemi naturali, sociali ed economici ai cambiamenti attesi nel prossimo futuro.
Metodologia di lavoro
PESCA
Fonti
Produzione nel Mediterraneo, per specie e litorale (valori in tonnellate) – Anno 2014 – ISTAT CCBy: http://agri.istat.it/sag_is_pdwout/jsp/NewDownload.jsp?id=13A
Ecologia e temperature preferite per ciascuna specie – CCBy: http://www.sealifebase.org
Inquadramento della problematica:
– http://www.fao.org/fishery/climatechange/en
– http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0078323414500243
Calcolo indice di sensibilità alla temperatura
Abbiamo analizzato il pescato (dati ISTAT 2014) suddiviso per litorale (Ligure, Alto-Medio-Basso Adriatico, Alto-Medio-Basso Tirreno, Ionico, Siculo e Sardo) e abbiamo considerato le specie che in ciascun litorale rappresentassero almeno il 5% della produzione totale della zona in termini di tonnellate di pescato. Successivamente abbiamo analizzato le specie rappresentative di questa fetta di produzione di pescato in ciascuna macroarea, al fine di identificare la temperatura preferita per ciascuna specie. Abbiamo quindi suddiviso le specie in tre gruppi di sensibilità in base al range di temperatura ottimale complessivo per le specie identificate (tra i 12 e i 27°C): specie ad alta (12-18°C), media (19-22°C) e bassa sensibilità (23-27°C). I dati sono stati poi raggruppati in modo da mettere in evidenza la quota di produzione di specie con diversa sensibilità (alta, media, bassa) per ciascun litorale (Figura 1).
AGRICOLTURA
Fonti
Superfici e produzioni delle coltivazioni agrarie. Annata agraria 2011
ISTAT http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCSP_COLTIVAZ&Lang=it
Water footprint
definizione Hoekstra et al., 2009
http://doc.utwente.nl/77211/1/Hoekstra09WaterFootprintManual.pdf
Valori di riferimento
Mekonnen, M.M. and Hoekstra, A.Y. (2010) The green, blue and grey water footprint of crops and derived crop products, Value of Water Research Report Series No. 47, UNESCO-IHE, Delft, the Netherlands.
http://www.waterfootprint.org/Reports/Report47-WaterFootprintCrops-Vol1.pdf
Strategia Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici
Calcolo indice di sensibilità alla siccità
Per quanto riguarda il comparto agricolo, abbiamo stimato il grado di sensibilità alla siccità della produzione agricola delle diverse regioni italiane. Per questa analisi abbiamo preso in considerazione la produzione (in tonnellate) delle principali tipologie di prodotti agrari e l’impronta idrica (water footprint, WF) delle produzioni agricole come indicatore del loro livello di sensibilità alla siccità (Figura 2).
Poiché i valori di water footprint per un dato prodotto agricolo variano in relazione alla zona di produzione, abbiamo ricavato per ciascuna (~60-70) delle specie agricole coltivate in ogni regione italiana i valori regionali di water footprint usando i dati disponibili in letteratura (Mekonnen, M.M. and Hoekstra (2010). In mancanza di quelli regionali, per la sola regione Liguria, i valori di water footprint sono quelli medi calcolati per l’Italia. Per ragioni analoghe, per calcolare il water footprint della tipologia agraria “frumento” per la regione Sicilia, è stato utilizzato il valore riportato per la regione Calabria.
Vista l’eterogeneità delle produzioni regionali abbiamo raggruppato le specie agricole in sette tipologie principali (cereali, legumi secchi tuberi, ortaggi, coltivazioni industriali, frutta fresca, vite e olivo) e per ognuna di queste l’impronta idrica è stata calcolata mediando i valori delle singole specie presenti in ciascuna regione. Tutte le produzioni regionali sono state poi classificate in tre gruppi in base ai valori di water footprint ottenuti: produzioni a bassa (0-1000 WF m3 / ton), media (1000-2000 WF m3 / ton) e alta (>2000 WF m3 / ton) sensibilità. Abbiamo infine raggruppato i dati maniera da evidenziare la quota di produzione agricola con diversa sensibilità (alta, media, bassa) per ciascuna regione.