Chi pensa che la meditazione sia solo pace, amore e benessere, sbaglia. Anche questa pratica millenaria, dai provati effetti benefici, ha un lato oscuro. Un ‘dark side’ in cui rientrano esperienze sgradevoli e inaspettate: si va dall’ansia all’insonnia, fino alle allucinazioni. Il buddismo zen ha persino un nome ad hoc per descrivere questo tipo di percezioni, makyo: combinazione delle parole giapponesi “diavolo” e “mondo reale”. Se ne sa poco, se ne parla ancora meno, eppure esistono e ora a documentarle, yin su yang (nero su bianco), c’è un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Plos One. Una ricerca condotta da un’équipe di studiosi della Brown University, negli Stati Uniti, che ha intervistato 60 buddisti occidentali di tradizione zen, theravada e tibetana.
“Solo perché qualcosa è benefico e positivo non vuol dire che non dobbiamo essere al corrente della varietà di possibili effetti che può avere”, ha detto a Quartz Jared Lindahl, uno degli autori dell’analisi, spiegando le motivazioni che lo hanno spinto ad indagare. Sotto esame sono finite le testimonianze di meditanti novizi, come di insegnanti che fino a oggi hanno accumulato più di 10mila ore di meditazione. Tutti, durante la pratica, hanno fatto fronte a emozioni poco piacevoli o a disturbi psicofisici. Si tratta di conseguenze che possono essere leggere e transitorie o più serie e durevoli, scrivono gli studiosi. In totale, ne hanno contate 59 riconducibili a sette categorie: cognitive, percettive, affettive (relative alle emozioni), somatiche, conative (relative alla motivazione), senso di sé e sociale. C’è, per esempio, chi ha riportato insonnia, chi un distaccamento emotivo, e chi irritabilità. Altri hanno ripercorso traumi passati, o hanno maturato una maggiore sensibilità alla luce. Una serie di esperienze variegate, che sono ben lontane dall’idea stereotipata della meditazione.
Uno studio interessante, se preso con le dovute precauzioni, precisa a Galileo Antonino Raffone, professore del dipartimento di psicologia dell’università Sapienza. È un’indagine qualitativa, non statistica. Quindi è impossibile sapere quanto sia diffuso il fenomeno tra i meditanti. Non stupisce, però, il fatto che durante la meditazione, quando praticata in maniera intensiva, si possano fare delle esperienze negative. Secondo Raffone, hanno più probabilità di verificarsi tra soggetti vulnerabili che dovrebbero affiancare alla meditazione una psicoterapia. “È un percorso che ci mette in contatto con le nostre attitudini e le nostre emozioni, anche quelle inespresse”, spiega. Una persona inconsciamente ansiosa potrà venire a contatto con la sua ansia. “D’altra parte, la stessa meditazione ci fornisce gli strumenti per ritornare a una condizione di equilibrio”. Niente di preoccupante, quindi. Ma il consiglio è di farsi sempre seguire da istruttori qualificati.
Riferimenti: Plos One