Combattere la carenza di vitamina A grazie a una banana biofortificata. È la sfida intrapresa dai ricercatori della Queensland University of Technology, in Australia che, come riportato sul Plant Biotechnology Journal, hanno creato una varietà di banana dal colore arancio-dorato, ricca di provitamina A – una molecola la cui conversione in vitamina avviene grazie a reazioni enzimatiche – che potrebbe portare a un miglioramento dell’apporto nutrizionale in molte zone rurali dell’Africa.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la carenza di vitamina A è indicata come uno dei maggiori problemi sanitari esistenti: inibisce la crescita, provoca deformazioni e fragilità ossee, alterazioni della vista fino alla cecità e aumenta la mortalità materna in gravidanza. Sono 190 milioni i bambini in tutto il mondo colpiti da carenza di vitamina o provitamina A, motivo per il quale sono necessarie delle strategie volte a favorire una dieta che ne sia ricca.
La banana è un’ottima fonte di amido, ma è caratterizzata da bassi livelli di micronutrienti, in particolare ferro e vitamina A. In quanto alimento principale nella dieta quotidiana di paesi come l’Uganda però è apparsa ai ricercatori come la candidata ideale per la sperimentazione. Gli scienziati hanno infatti coltivato diverse varianti di piante di banana, prima in serra per 12 settimane, poi sul campo, ottenendo infine degli ottimi risultati: dalla combinazione dei geni provenienti da una varietà tipica di Papua Nuova Guinea – a basso rendimento in termini di quantità prodotta ma ricca di provitamina A – con la tipologia Cavendish, hanno ottenuto una nuova specie di frutto dal caratteristico colore arancio-dorato, ricco di provitamina A.
Un importante risultato per la ricerca volta alla biofortificazione degli alimenti – l’esempio più noto è quello del golden rice – ottenuto grazie a 10 anni di studi e a un investimento di 7,6 milioni di dollari da parte della Bill & Melinda Gates Foundation. Il passo successivo è ora quello di intraprendere ulteriori prove sul campo anche in Uganda, per vedere se i risultati ottenuti in Australia sono replicabili e arrivare entro il 2021 a una coltivazione permanente in loco.
Riferimenti: Plant Biotechnology Journal