Francesca Italiano, Silvia Sironi
Il meccanismo di funzionamento dei vaccini anticancro è simile a quello usato contro le malattie infettive. Alcuni componenti dell’invasore di turno (le cellule cancerose, in questo caso) sono mescolati con agenti che stimolano la risposta immunitaria ed iniettati nel paziente per sconfiggere l’invasore. La differenza, nel caso dei vaccini anticancro, è che il vaccino viene progettato su misura per colpire i bersagli mutati specifici del singolo paziente colpito dalla malattia e non a scopo preventivo.
Questa è l’idea alla base dei vaccini anticancro personalizzati. Alcune mutazioni delle cellule tumorali provocano la comparsa a livello della membrana cellulare di alcune proteine, note come neoantigeni, non presenti nelle cellule sane. I neoantigeni possono essere usati come bersagli per riconoscere le cellule tumorali e distruggerle. Tali mutazioni sono casuali, variano da tumore a tumore e da paziente a paziente.
Per progettare un vaccino su misura occorre prima identificare il set di mutazioni specifico di ogni singolo paziente attraverso un’analisi del DNA delle cellule tumorali e scoprire poi quali di queste possono rappresentare bersagli verso cui indirizzare la risposta del sistema immunitario. A questo punto è possibile produrre un vaccino personalizzato, contenente questi antigeni, in grado di addestrare il sistema immunitario, in particolare i linfociti T, a combattere il tumore.
Nello studio condotto al Dana-Farber Cancer Institute di Boston dal gruppo guidato da Catherine J. Wu un vaccino di questo tipo è stato somministrato a sei persone precedentemente sottoposte ad intervento chirurgico per la rimozione di un melanoma in fase avanzata e ritenute ad alto rischio di recidiva. Quattro di questi pazienti non hanno mostrato recidive nei 32 mesi successivi alla terapia, mentre gli altri due, con forme progressive di melanoma, sotto stati trattati con un altro tipo di immunoterapia (quella con anticorpi anti-PD-1), ottenendo una regressione del tumore.
Nello studio condotto da Ugur Sahin e colleghi della Johannes Gutemberg University di Mainz in Germania sono stati trattati con vaccini personalizzati tredici pazienti. Otto dei pazienti non presentavano la malattia a distanza di 23 mesi dal trattamento. Gli altri cinque pazienti hanno mostrato recidive; uno di loro, tuttavia, ha ottenuto una completa remissione della malattia dopo la successiva terapia con anticorpi anti-PD-1.
Le due sperimentazioni sono state condotte su piccoli gruppi di persone colpite da melanoma ma i risultati – positivi sia in termini di sicurezza che di efficacia – sono molto incoraggianti, ma dovranno essere testate su studi più ampi per confermarne le potenzialità e la sicurezza.
Va ricordato – ribadisce Nature News – inoltre che terapie di questo tipo presentano ancora alcuni limiti: la formulazione e la preparazione di un vaccino personalizzato attualmente richiede circa tre mesi, un tempo ancora molto lungo (anche se entrambi i gruppi confidano di accorciare i tempi necessari a non più di sei settimane). Inoltre non è ancora chiaro se e come un approccio di questo tipo possa funzionare per altri tipi di tumore e quale sia l’efficacia del vaccino in relazione al numero di mutazioni specifiche. La strada è ancora lunga, ma è un primo importante passo che apre le porte a trattamenti anticancro personalizzati basati sull’immunoterapia.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara