Mdma, Lsd, funghi allucinogeni, e chi più ne ha più ne metta. Da anni la comunità scientifica sta indagando, e in molti casi riscoprendo, il potenziale terapeutico di quelle che oggi consideriamo sostanze stupefacenti (e che per questo in Italia non studiamo affatto), e in particolare di allucinogeni e droghe psichedeliche. Molecole che dagli indizi raccolti fino a oggi sembrano particolarmente utili nel trattamento della depressione e di altri gravi disturbi dell’umore. Da dove nasce la loro efficacia? Non è ancora chiaro, ma un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista Cell Reports sembra aver trovato un indizio: diversi allucinogeni infatti avrebbero la capacità di promuovere la plasticità neurale, la capacità del cervello di adattarsi, mutare nel tempo e formare nuove connessioni tra neuroni. Una caratteristica che li rende simili per effetti ad un altra droga molto studiata in psichiatria, la ketamina, e che potrebbe essere alla base della loro efficacia terapeutica.
Nel loro studio, i ricercatori della Uc-Davis hanno sperimentato gli effetti di diverse sostanze psicoattive su neuroni cresciuti in provetta, per verificare quali effetti avessero sul loro metabolismo e sulla loro anatomia. Tra i composti testati troviamo diverse droghe famose per il loro utilizzo ricreativo: dall’Mdma (la famosa ecstasy) all’Lsd, passando per la dimetitriptammina, o Dmt, una sostanza naturale che rappresenta l’ingrediente principale dell’ayahuasca, un infuso allucinogeno di erbe diffuso in Amazzonia, molto studiato oggi per i suoi possibili effetti terapeutici.
Le analisi hanno rivelato che molti dei composti studiati hanno la capacità di modificare il strutturalmente i neuroni, aumentando il numero di ramificazioni (o dendriti), la densità delle cosiddette spine dendritiche (dove sono presenti le connessioni post-sinaptiche) e più in generale in numero di connessioni (sinapsi) tra neuroni. Tutte caratteristiche potenzialmente in grado di spiegarne gli effetti su depressione e altri disturbi dell’umore: aumentando la plasticità del cervello, infatti, è possibile che le droghe promuovano la naturale capacità di ripararsi, correggendo i difetti alla base delle patologie psichiatriche. Non a caso – sottolineano gli autori dello studio – è lo stesso effetto che ha la ketamina, una delle sostanze più promettenti e studiate come alternativa per la cura della depressione, in particolare in pazienti resistenti alle terapie tradizionali.
“Da anni si pensa che le sostanze psichedeliche siano capaci di alterare la struttura dei neuroni, ma il nostro è il primo studio supportare concretamente questa ipotesi”, racconta il coordinatore della ricerca David Olson. “E a rendere ancor più eccitante i nostri risultati è certamente il fatto che questi allucinogeni riproducano gli stessi effetti prodotti dalla ketamina”.
Nel caso della ketamina infatti, l’efficacia antidepressiva della sostanza è talmente potente e ben conosciuta che l’Fda ha deciso di garantire una corsia preferenziale ai trial clinici che valutano farmaci basati su questa sostanza. E avendo un’azione simile, è possibile immaginare che anche le sostanze allucinogene analizzate nello studio potrebbero ricevere un trattamento di favore in futuro, in caso di risultati positivi dei trial in corso.
Nel caso del Dmt, inoltre, i ricercatori hanno potuto mostrare anche in vivo, su topi, che la sostanza è in grado di promuovere la crescita di nuove spine dendritiche. E trattandosi di una molecola potente ma a rapida azione – viene eliminata nel giro di un’ora dal cervello – potrebbe essere ancora più promettente come farmaco antidepressivo.
“La ketamina non è più la nostra unica opzione”, riassume Olson commentando i risultati della ricerca. “Il nostro lavoro dimostra che esistono un ampio gruppo di sostanze chimiche capaci di promuovere la plasticità sinaptica come la ketamina, e questo offrirà ai chimici un’importante opportunità per sviluppare nuovi farmaci, efficaci e sicuri, per curare la depressione e altri disturbi dell’umore”.
via: Wired.it