La mafia in Sicilia, attraverso il pizzo, coinvolge circa il 70% dei commercianti e fa guadagnare alla criminalità organizzata oltre un miliardo di euro all’anno, secondo i dati Confcommercio. Per capire le dinamiche dell’economia mafiosa e individuare le migliori strategie per combatterla sul piano sociale e culturale, i ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione Cnr hanno ricreato in laboratorio – simulandola al computer – la realtà di Palermo. Il modello computazionale, pubblicato su Complexity, rientra in un progetto coordinato dall’Università del Surrey in Gran Bretagna, che ha analizzato i meccanismi e le dinamiche del pizzo (raket) a livello europeo.
Un modello per il pizzo
Gli scienziati hanno studiato la forma di estorsione del pizzo che, in Sicili, affligge circa il 70% dei proprietari di attività commerciali, costretti a versare una parte dell’incasso in cambio di “protezione”, e che secondo Confcommercio, solo in Sicilia porta nelle casse della criminalità organizzata oltre un miliardo di euro all’anno. Recuperando dati e informazioni da fonti storiche, studiosi e magistrati, i ricercatori hanno realizzato un modello di “sistema mafioso” che poi è stato confrontato con i dati ufficiali raccolti a partire dagli anni ’80 a Palermo. “Dall’analisi – spiega Giulia Andrighetto del Cnr-Istc, che ha coordinato lo sviluppo del modello – è emersa una corrispondenza fra la simulazione al computer e la realtà. E quindi a partire da questo modello abbiamo testato l’efficacia di diverse strategie di contrasto al fenomeno mafioso del pizzo”.
Strategie a confronto
Pugno di ferro o reazione civile? Repressione dall’alto o azione dal basso? Messi a confronto i due diversi approcci nella lotta al fenomeno del pizzo sono risultati entrambi insufficienti se messi in atto separatamente.
“Il primo approccio, quello che parte dall’alto – spiega Andrighetto – ricalca le strategie di lotta alla mafia messe in atto dallo Stato a partire dagli anni ‘80″. In questo caso, aumenta il controllo delle forze dell’ordine e la severità delle pene comminate in tribunale: può essere una strategia efficace, sottolinea la ricercatrice, ma è costosa e poco adattabile a eventuali cambiamenti interni della mafia.
Il secondo approccio si basa invece sulla sensibilizzazione dei cittadini, per renderli più coscienti dei risvolti etici, sociali ed economici legati all’attivita mafiosa. E anche in questo caso, la strategia è risultata solo parzialmente efficace: “L’applicazione di questa strategia produce un notevole aumento delle denunce di estorsione”, spiega la ricercatrice, “e, di conseguenza, anche reazioni di vendetta e ritorsione da parte dei criminali contro chi si rifiuta di pagare”.
Contro la mafia una strategia integrata
Se agire solo dal basso porta un aumento della violenza, anche un’azione soltanto autoritaria non sembra essere efficiente, soprattutto alla lunga. Una soluzione potrebbe essere quella di integrare queste due modalità di intervento, scrivono i ricercatori nel paper, basandosi sui dati del modello. “Da questo lavoro – conclude Andrighetto – emerge che le iniziative di cambiamento sociale devono essere accompagnate da un’azione legale. Tale azione deve essere assicurata dallo Stato”. Questa linea di intervento integrata, inoltre, dovrebbe essere portata avanti fino a alla completa estinzione del fenomeno.
Altri strumenti computazionali sono già utilizzati dalle forze dell’ordine nella lotta al crimine, per esempio, in California. Oggi, i ricercatori del Cnr, all’interno del progetto Proton stanno sviluppando un modello per capire i meccanismi di reclutamento nella criminalità organizzata e nelle reti terroristiche.