A poker, conviene bluffare?

Ken Binmore
Game Theory – A Very Short Introduction
Oxford University Press 2007, pp. 184, euro 10,07

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La teoria dei giochi ha una storia relativamente giovane. È nata infatti negli anni Trenta del secolo scorso grazie all’opera di John (Johann? Janos?) Von Neumann, ma il grande pubblico ne ha presumibilmente sentito parlare per via del film “A Beautiful Mind”, che raccontava la gioventù e le crisi di follia di John Nash, che avrebbe poi ottenuto il Nobel per l’economia per i risultati che trovò in quel campo negli anni Cinquanta.

Il fatto stesso che il Nobel Nash lo abbia vinto per l’economia dovrebbe far capire che non sono i matematici a essere i più interessati alla teoria dei giochi; e in effetti non hanno mai messo troppa carne al fuoco in questo campo. Non è quindi un caso che l’autore di questo libro, che nella tradizione delle guide “A very short introduction to” della Oxford University Press vuole dare un chiaro quadro d’insieme di un argomento alle persone di buona cultura generale, ma non certo ferrate nel campo, sia stato un professore di Economia; secondo le note di copertina, Binmore è noto al pubblico britannico perché era a capo del team che stabilì le regole per l’asta miliardaria sulle frequenze radio UMTS nel Regno Unito.

Il fatto che il libro sia scritto da un economista ha un indubbio vantaggio: l’esposizione è più chiara per chi non è matematico di professione, visto che le formule sono ridotte al minimo indispensabile e i lettori non si spaventano troppo. C’è però l’altra faccia della medaglia: la trattazione rimane necessariamente a livello relativamente alto. I teoremi “classici”, come quello di Von Neumann del minimax e quello di Nash sugli stati di equilibrio, sono descritti in pochi paragrafi verso l’inizio del libro, e gli esempi presenti si limitano per la maggior parte ai giochi a due persone per così dire “archetipici”. Tra di essi c’è il dilemma del prigioniero dove due imputati, ciascuno all’insaputa di cosa farà l’altro, devono decidere se confessare o no di avere commesso in coppia un crimine. Se uno solo dei due confessa, verrà liberato mentre l’altro avrà una forte pena; se entrambi confessano, la pena sarà ridotta, e se entrambi tacciono la condanna sarà molto leggera. Un altro gioco archetipico è quello del “coniglio”, dove due automobilisti vanno uno contro l’altro in una strada stretta, cercando di non essere quelli che si fermano a cedere strada. In questo caso, se uno solo si ferma avrà una perdita media, se entrambi si fermano la perdita sarà piccola; se nessuno vuol fare il coniglio, il gioco finisce con uno scontro frontale!

Mentre la teoria per un gioco giocato una sola volta è ormai stata sviscerata, non si hanno ancora risultati certi su cosa succede quando lo stesso gioco viene giocato più volte consecutivamente, e quindi occorre studiare delle strategie con l’ulteriore variabile temporale. La parte principale del libro è dedicata alla presentazione di tali strategie, con un’incursione nel campo delle aste; in un certo senso anche l’analisi (semplificata!) del poker si riallaccia a questo argomento, dato che la scelta se bluffare oppure no è necessaria non tanto per la singola partita, ma per massimizzare la probabilità che l’opponente in futuro si beva il nostro bluff. In effetti Binmore dimostra che è necessario bluffare molto più spesso di quanto si immagini. Meno interessante la parte dedicata alle applicazioni della teoria dei giochi nella biologia evolutiva; gli esempi appaiono spesso troppo perfetti per essere veri. Più interessante la parte dedicata alle strategie di collaborazione e scambio – con l’esempio delle pulizie di casa che è davvero illuminante! – e l’appendice con vari esempi di paradossi legati alla teoria dei giochi, primo tra tutti il problema di Monty Hall. In definitiva, un ottimo modo per avvicinarsi a questi temi.

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