A Strasburgo vincono le industrie

E’ scattato il 10 aprile scorso l’obbligo per le aziende alimentari di indicare sulle etichette la presenza di organismi geneticamente modificati – Ogm – all’interno dei loro prodotti. Ma solo se la percentuale supera l’1 per cento. La legge italiana, che recepisce una direttiva europea, ottiene un risultato singolare: scontenta sia gli ambientalisti che i produttori finali. E soprattutto non tutela i consumatori. Ma sempre questa settimana, mentre si scatenavano le polemiche sull’efficacia della normativa appena entrata in vigore, da Bruxelles è arrivata una seconda notizia. Il Parlamento europeo ha bocciato gli emendamenti alla direttiva 90/220, proposti dalle forze ambientaliste e appoggiati dalla sinistra, che chiedevano garanzie sui danni ambientali prodotti dall’immissione di elementi modificati geneticamente nelle piantagioni e lo stop immediato all’utilizzo da parte delle aziende biotecnologiche di batteri resistenti agli antibiotici. Questo round, insomma, è della lobby industriale, ma i consumatori e gli ambientalisti non si arrendono e continuano a chiedere provvedimenti che tutelino la salute dei consumatori.

Ma torniamo all’etichetta. Sebbene secondo Leonardo Vingiani, direttore di Assobiotech, l’associazione italiana delle industrie del settore, si tratti di “un formidabile passo in avanti sulla strada della trasparenza e della libertà di scelta del consumatore”, la legge ha sollevato più di una perplessità. La prima è sulla soglia dell’1 per cento individuata da Bruxelles quale valore minimo oltre cui non indagare sulla presenza di Ogm all’interno dei cibi. “Le moderne tecnologie”, afferma Francesco Ferrante direttore generale di Legambiente (http://www.legambiente.it), “consentono di individuare fino allo 0,3 per cento di prodotto transgenico contenuto”.

Le industrie ribattono che la soglia europea è già la più restrittiva del mondo e abbassarla ancora di più non sarebbe economicamente conveniente per l’Unione. “Il vero problema però è un altro”, aggiunge Ferrante, “la direttiva europea non prevede un controllo di filiera e quindi non garantisce in ultima analisi la corretta informazione del consumatore finale”. Un esempio: anche se un produttore di merendine non utilizza nei suoi stabilimenti organismi geneticamente modificati – e lo dichiara con apposita etichetta – non è detto che quel prodotto sia Ogm free. Infatti per i fornitori e le multinazionali che vendono soia o mais, con cui le merendine vengono prodotte, non vale la stessa legge: non sono obbligati a dichiarare la percentuale di transgenico nei loro prodotti. Potrebbe capitare che i consumatori comprino cibi biotecnologici senza saperlo, e nonostante la legge, nessuno possa essere perseguibile.

Altro terreno di discordia: gli emendamenti bocciati dal Parlamento europeo nella seduta del 12 aprile scorso. “Le modifiche respinte erano state adottate in prima lettura dall’assemblea di Strasburgo ”, spiega Cristina Castagnoli dell’ufficio dell’europarlamentare Monica Frassoni eletta nelle liste dei verdi belgi, “ma dopo le ultime elezioni europee la maggioranza parlamentare è cambiata. In seconda lettura gli emendamenti sono stati bocciati, mentre ne sono passati altri del tutto marginali”. Alla fine, sono stati approvati cambiamenti minimi che non intaccano il potere economico delle grandi aziende.

I punti caldi sono due: l’obbligo per le imprese biotech di assicurarsi contro il danno ambientale da loro eventualmente procurato con l’immissione nell’ambiente di Ogm, e il divieto immediato per le stesse industrie di utilizzare batteri resistenti agli antibiotici. “Tutti gli europarlamentari italiani presenti al voto ”, continua Castagnoli, “hanno votato a favore tranne quelli di Forza Italia e del Partito Popolare. La convergenza di parte della destra e della sinistra si deve alla presa di posizione della rappresentanza italiana al parlamento che aveva invitato i politici a tenere conto delle cautele dell’Italia in questo settore”. Ma la maggioranza dell’assise ha deciso di non dare ascolto alle preoccupazioni dei cittadini europei e di tendere invece la mano alle aziende. “Così le industrie non saranno obbligate a stipulare assicurazioni sui danni ambientali i cui premi, data l’assoluta incapacità allo stato attuale di valutare l’effettivo impatto causato dagli Ogm, sarebbe tanto elevato da incidere gravemente sui loro profitti”, aggiunge Ferrante. E ancora, le aziende potranno utilizzare batteri resistenti agli antibiotici fino al 2005. Questo perché i dati scientifici non confermano, ma neanche smentiscono, la possibilità per questi germi di passare all’uomo attraverso il cibo contribuendo al fenomeno dell’antibiotiresistenza (la resistenza dei microrganismi all’azione degli antibiotici). “Una situazione paradossale”, conclude Ferrante, “se i germi sono nocivi per la salute dell’uomo, lo sono da subito e non solo dal 2005”.

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