Se ci dicessero che siamo tutti imparentati forse non ci stupiremmo più di tanto. Se però ci mostrassero come siamo imparentati e le relazioni con i nostri antenati, beh, forse le cose cambierebbero. Fino a oggi sembrava una missione impossibile, eppure c’è chi ha provato a ricostruire le varie relazioni di famiglia. E ci è riuscito, ottenendo quello che viene presentato oggi come il più grande albero genealogico dell’umanità mai realizzato. Gli autori dell’impresa sono ricercatori sparsi tra Boston, Oxford e Vienna. Come ci sono riusciti? Grazie all’enorme quantità di dati genetici disponibili grazie ai sequenziamenti del dna, tanto delle popolazioni moderne che di quelle passate.
Ricostruire i legami di parentela, grazie al dna
Rimettere insieme i pezzi di famiglia non è stata una passeggiata. Il motivo principale è che le “fotografie” – i vari genomi – sono piuttosto diversi tra loro, per tecniche utilizzate, accuratezza, copertura, accessibilità. E rappresentano una mole ingente di dati. Per questo il team di Anthony Wilder Wohns del Big Data Institute dell’Università di Oxford, ora al Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e Harvard, a capo del lavoro appena pubblicato su Science, è ricorso a un speciale tecnica di analisi dei genomi.
Abbiamo sviluppato un metodo che combina le informazioni provenienti dai genomi antichi e moderni per capire come sono collegati ai loro antenati comuni”, racconta a Wired lo stesso Whons. Il metodo in questione è di fatto un tipo particolare di analisi genomica che mira a identificare l’emergenza di un determinato allele (una delle possibili versioni alternative di un gene, legata a una posizione del cromosoma), attraverso una tecnica nota come ancestral recombination graph (grafico di ricombinazione ancestrale), fino a risalire indietro nel tempo, a quando è comparso, spiegano da Oxford.
Per farlo i ricercatori hanno combinato i dati provenienti da circa 6500 genomi, provenienti da oltre 200 popolazioni umane, di alta e basa qualità. “Si tratta di un approccio abbastanza innovativo – riprende Wohns – perché fino ad ora i ricercatori non avevano elaborato un metodo per combinare sequenze genomiche provenienti da molti diversi database o non avevano sviluppato algoritmi per gestire dati di questa grandezza. Il nostro metodo ha raccolto queste sfide combinando facilmente i dati provenienti da più fonti e ospitando centinaia di migliaia, e potenzialmente milioni di sequenze genomiche”.
Un unico grande albero genealogico
Il risultato, continua l’esperto, è sorprendente: in questo modo infatti è stato possibile ricostruire sia i genomi dei nostri antenati che le coordinate temporali e spaziali in cui sono vissuti: “Questo ci consente di svelare importanti caratteristiche della storia evolutiva umana”. In questo modo i ricercatori sono riusciti per esempio a vedere gli eventi di migrazione noti come out of Africa – quando i primi ominidi lasciarono il continente – confermando l’esistenza di antenati molto indietro nel tempo in queste aree.
Out of Africa grazie ai geni dei Neanderthal
Lo dimostra anche il video che segue, che mostra età e provenienza dei nostri antenati, fino a due milioni di anni fa, dove ogni punto rappresenta un diverso filone di discendenza, colorato secondo le diverse regioni dei suoi discendenti. Se la discendenza è mista anche il colore dei puntini apparirà misto (come colori) di conseguenza, spiegano gli autori.
Un altro modo di rappresentare i risultati del più grande albero genealogico umano mai effettuato è quello che segue, in cui le diverse linee mostrano una relazione di discendenza, tanto più spessa quanto più sono marcate le relazioni, colorate in base al periodo cui risale l’antenato (e anche in questo caso è possibile osservare gli eventi di migrazione dal continente africano, attraverso le linee blu).
L’esercizio di ricostruire l’albero genealogico di famiglia non ha significato solo in ambito antropologico. “Oltre a studiare la storia evolutiva umana, molta della ricerca che si fa in biologia richiede di conoscere come le popolazioni di individui cambiano nel corso del tempo e nello spazio – riprende Wohns – Possiamo farlo dunque ricreando queste genealogie genetiche, sia che si tratti di animali domestici, specie a rischio o vettori di malattie umane. Un’altra possibile linea di ricerca è quella di usare la genealogia per comprendere meglio le basi delle malattie umane, per esempio per rintracciare l’origine e la diffusione delle varianti genetiche associate alle malattie”.
Via: Wired.it
Credits immagine di copertina: Sangharsh Lohakare on Unsplash