Archivi di Stato in bolletta

Chiudere i battenti. Se le cose non cambiano in fretta, questa diventerà presto una scelta obbligata per molti Archivi di Stato italiani. Custodi di un immenso patrimonio documentario sulla storia del nostro paese, gli istituti sono stati duramente colpiti dalla Finanaziaria 2003, che ha ridotto i fondi per la gestione ordinaria del 40-60 per cento rispetto all’anno precedente. Una situazione di grave disagio denunciata in una lettera aperta inviata al Ministero per i Beni e le Attività Culturali a fine marzo dai soprintendenti archivistici di quattro regioni italiane, dai direttori di 13 Archivi di Stato e dall’Associazione Nazionale Archivistica Italiana (Anai). Ma a distanza di più di un mese il futuro di queste “casseforti” della memoria storica nazionale rimane incerto: “Per ora abbiamo ricevuto rassicurazioni informali, ma nessuna risposta ufficiale”, ha dichiarato martedì 29 aprile Gian Paolo Bulla, direttore dell’Archivio di Stato di Piacenza, cogliendo l’occasione di una conferenza stampa organizzata per annunciare il ciclo di conferenze “Piacenza tra medioevo ed età moderna”. “Siamo al di sotto della soglia di sopravvivenza”, gli fa eco Ferruccio Ferruzzi, vicepresidente dell’Anai. “Ci sono archivi dove si fanno le pulizie un giorno sì e uno no, mentre attrezzature costose come computer e fotocopiatrici si deteriorano perché non si può fare manutenzione”. Le situazioni più gravi sono quelle di alcuni archivi del Nord che, avendo affrontato negli ultimi anni spese per lavori di ammodernamento, sono più scoperti finanziariamente. L’Archivio di Stato di Firenze, per esempio, si è trasferito da poco tempo in una nuova sede appositamente costruita, di cui ora non riesce a pagare le spese di manutenzione: manca in particolare il condizionamento dei locali, e il caldo inizierà presto a danneggiare i documenti. E l’Archivio di Bologna ha già dovuto cancellare tre pomeriggi settimanali di apertura al pubblico: evita addirittura di accendere le luci per risparmiare sulla bolletta della corrente elettrica. Anche gli archivi di Torino, Bologna, Pisa vivono situazioni drammatiche. Secondo Ferruzzi, la generale crisi dei conti pubblici non giustifica questi tagli: “Non stiamo chiedendo investimenti per crescere o innovare, anche se avremmo molti progetti, come la digitalizzazione e la messa in rete degli archivi. Stiamo parlando dei fondi necessari per sopravvivere e continuare a lavorare, e per questi lo Stato avrebbe margini di manovra”. Ferruzzi fa notare che il Ministero dispone di 500 milioni di euro l’anno come residuo degli stanziamenti per il restauro di opere artistiche; e che soltanto i fondi per la Biblioteca Europea di Milano (che inizialmente doveva essere finanziata solo da privati) sono più dell’intero bilancio dell’amministrazione archivistica. La verità, secondo Ferruzzi, è che “gli archivi sono sempre stati l’ultima ruota del carro nella gestione dei Beni culturali. Finché dipendevano dal Ministero dell’Interno erano maggiormente tutelati, se non altro per la loro funzione giuridico-amministrativa”. La prima ragion d’essere degli Archivi di Stato è, infatti, quella di conservare e mettere a disposizione di enti e cittadini tutti gli atti prodotti dall’amministrazione centrale. In questi istituti, però, sono confluiti anche i documenti relativi a prima dell’Unità d’Italia: un patrimonio millenario che è anche un’inestimabile risorsa per gli storici, fonte di pubblicazioni o di iniziative rivolte al pubblico. Per questa loro importante funzione storico-documentaria, nel 1975 si decise che il loro mantenimento dovesse essere di competenza del Ministero dei Beni Culturali. Ed è così che sono iniziati i guai: da allora si è estesa agli archivi una mentalità mutuata da musei e biblioteche, per cui ciò che conta è la commercializzazione e l’interfaccia con il pubblico: se ci sono soldi, vengono destinati a prolungare gli orari di apertura al pubblico. “Il problema”, osserva Ferruzzi, “è che un archivio ha una funzione diversa da un museo: è essenzialmente un luogo di studio e lavoro per ricercatori e studenti e assicura a privati cittadini ed enti l’accesso a documenti necessari per far valere i propri diritti, come nel caso delle ricerche genealogiche per il conferimento della cittadinanza italiana agli emigranti. Aprire alla domenica non serve, se poi non si garantisce la conservazione, la corretta inventariazione, la possibilità concreta di reperire e consultare i documenti di cui si ha bisogno”. Per ora, dal Ministero non è arrivata alcuna risposta a seguito della lettera aperta; si può solo pensare, conclude Ferruzzi, “a un’intenzionale indifferenza rispetto alla sorte degli archivi: questo Ministero non può o non vuole garantire la tutela di un’istituzione fondamentale per un paese democratico”.

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