Da quel febbraio 2020, quando l’Italia (e in particolare la Pianura Padana) è diventata l’epicentro mondiale della pandemia di Covid-19, la ricerca per capire ragioni e dinamiche della diffusione del coronavirus Sars-Cov-2 è andata avanti e, tra un set di dati e l’altro, per i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è arrivato il momento di tirare delle conclusioni. 22 laboratori universitari, 96 ricercatori in totale, hanno realizzato un “atlante” della prima ondata pandemica nel nostro Paese, individuando i fattori che hanno contribuito alla diffusione del contagio. “Punti critici” su cui – sostengono gli scienziati – bisognerà agire, costruendo un nuovo modello di sviluppo, diverso da quello metropolitano, che guardi alla nostra diversità territoriale e alla sostenibilità ambientale.
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Fattori di rischio
Coordinati da Emanuela Casti, dell’Università di Bergamo, e Andrea Riggio, dell’Università di Cassino, i ricercatori hanno incrociato i dati del contagio da marzo a giugno 2020 con quelli socio-territoriali tramite la cybercartography, facendo emergere come determinati fattori regionali fossero implicati nel quadro della diffusione virale.
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In particolare gli esperti hanno individuato quattro fattori associati, che hanno reso la Pianura Padana e il Nord Italia più vulnerabili alla trasmissione del virus e che hanno favorito l’intensità e la gravità dell’infezione: l’inquinamento; la conurbazione policentrica (ossia la formazione di aree urbane estese dal collegamento di più centri abitati) di 10 milioni di persone con alto pendolarismo multidirezionale; una rete ospedaliera di eccellenza ma una carente assistenza territoriale e una rete di pronto soccorso malmessa; il sistema delle Rsa per anziani, che si sono rivelate luoghi non protetti e ad altissima contagiosità.
Tre Italie
Le mappe originate dal lavoro dei cartografi durante la prima ondata evidenziano l’esistenza di tre Italie. L’Italia settentrionale, e la Pianura Padana in particolare, è l’epicentro epidemico per numero di contagi, gravità della malattia e tasso di mortalità. Nell’Italia centrale, invece, i contagi si concentrano nell’area metropolitana di Roma e in alcune province delle Marche. L’Italia meridionale e le isole, infine, sono interessate da un contagio lieve.
Con il tempo le dinamiche si sono solo in parte modificate: il contagio si è diffuso in tutta la Penisola, ma i picchi sono rimasti localizzati a livello delle grandi città (come Milano, Roma, Napoli, Firenze e Palermo) e delle regioni interessate da importanti flussi turistici al termine del lockdown (Trentino Alto Adige, Sardegna).
Pensare a nuovi modelli di sviluppo
L’Atlante Covid-19, secondo i suoi autori, mostra come durante la pandemia il contagio abbia interessato in modo differente i diversi territori italiani in relazione alle loro caratteristiche fisiche e socio-territoriali, supportando l’idea che la pandemia non sia solo una questione medica, ma anche – appunto – sociale.
In quest’ottica la pandemia ha scardinato alcune prerogative dello sviluppo tipiche del modello dell’Italia del Nord e delle aree metropolitane, evidenziando le vulnerabilità territoriali. Un “vivere reticolare”, si legge nella nota di presentazione alla pubblicazione, che “va ripensato e gestito per evitare i rischi appena trascorsi, soprattutto nelle regioni particolarmente dinamiche e internazionalizzate”. I territori interni, invece, quelli considerati “depressi” e “arretrati”, “sono stati o meno colpiti o hanno avuto più possibilità di difesa”. Pertanto le carenze dei territori a basso tasso di urbanità “vanno ripensate sulla base di un nuovo modello di abitare il territorio che si discosti da quello padano”. Insomma, per i ricercatori serve una svolta urgente nel modo di pensare e abitare i territori e bisogna interrogarsi su come cambiare le modalità attuali per approdare a soluzioni più equilibrate e ambientaliste.
Via: Wired.it
Credits immagine: Gabriella Clare Marino su Unsplash