I cavalli salveranno il permafrost. Come? Con i loro zoccoli

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I cambiamenti climatici potrebbero continuare ad accelerare ulteriormente se i terreni di permafrost dell’Artico continueranno a sciogliersi ai ritmi di oggi e a liberare, di conseguenza, grandi quantità di gas a effetto serra. Stando alle ultime stime, se non verrà intrapresa alcuna azione, entro il 2100 la metà di tutto il permafrost presente sul nostro pianeta potrebbe sciogliersi definitivamente. Eppure, una speranza ancora c’è e arriva oggi dai grandi erbivori, come i cavalli selvatici, le renne e i bisonti. A raccontarlo sono stati i ricercatori dell’Università di Amburgo, che hanno dimostrato per la prima volta come la loro contromisura, seppure ancora ipotetica, possa essere in grado di mitigare questi effetti. In altre parole, secondo i ricercatori, rimpopolare con mandrie di animali da pascolo i terreni di permafrost potrebbe rallentarne significativamente la perdita. Il loro studio è stato appena pubblicato su Scientific Reports. 

Il congelamento del permafrost

Per dimostrarlo, il team di ricercatori ha monitorato i cambiamenti dei terreni di permafrost nei pressi di Chersky, una città a nord-est della Russia, e luogo in cui mandrie di cavalli selvatici, renne e bisonti sono ormai insediate da oltre 20 anni fa. In inverno, raccontano i ricercatori, il permafrost raggiunge temperature di meno 10 gradi centigradi e, con le abbondanti nevicate, si crea uno spesso strato di neve che riesce a isolare il terreno dall’aria gelida, mantenendolo relativamente “caldo”.

Ma quando questo manto nevoso viene compresso dal movimento delle mandrie, e in particolare dalla compressione dei loro zoccoli, il suo effetto isolante si riduce drasticamente, intensificando, quindi, il congelamento del permafrost. “Questo tipo di alterazione naturale negli ecosistemi, particolarmente rilevante per il sistema climatico, è rimasto finora poco studiato, ma ha un enorme potenziale”, commenta Christian Beer, autore dello studio.

Le mandrie di cavalli, renne e bisonti

Dalle sperimentazioni, infatti, i ricercatori hanno dimostrato che quando 100 animali da pascolo ripopolano un’area di un chilometro quadrato circa, dimezzano anche l’altezza media della copertura nevosa, favorendo, di conseguenza, il processo di congelamento del permafrost. Per capire se questo effetto potesse essere riprodotto per tutti i terreni di permafrost dell’Artico, il team di ricercatori hanno messo a punto un modello climatico in grado di simulare questo processo su larga scala.

Dai risultati, i ricercatori hanno osservato che se le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, le temperature del permafrost potrebbero aumentare di quasi 4 gradi. Vale a dire, perciò, lo scioglimento della metà di tutto il permafrost presente sul nostro pianeta. Ma se si ricorresse al ripopolamento delle mandrie dei grandi erbivori, il permafrost si riscalderebbe solo di 2 gradi centigradi, ossia 44 % in meno rispetto al primo scenario. E ciò, secondo i calcoli dei ricercatori, sarebbe sufficiente a preservare l’80% degli attuali terreni di permafrost.

“Potrebbe essere un’utopia quella di reinsediare mandrie di animali selvatici in tutte le aree di permafrost presenti nell’emisfero settentrionale”, commenta l’autore. “Ma ciò che abbiamo dimostrato nel nostro studio è una misura promettente per rallentare la perdita dei nostri terreni di permafrost e, con loro, il conseguente rilascio delle enormi scorte di anidride carbonica che contengono”. 

Riferimenti: Scientific Reports

Credit immagine di copertina: Pleistocene Park

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