[2/9/2018] È venuto a mancare in questi giorni il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza. Un grande scienziato italiano che con il suo lavoro ha dimostrato che tutti gli umani derivano da un’unica popolazione vissuta circa centomila anni fa in Africa. E, dunque, che la distinzione in razze umane non ha fondamento scientifico.
Nel 1997 i risultati del suo vastissimo e complesso lavoro di mappatura genetica delle popolazioni umane fu pubblicato nel volume “Storia e geografia dei geni umani” dall’editore Adelphi. Per comprendere la portata scientifica dell’impresa, ecco le “Mappe di Cavalli Sforza” che, per gentile concessione dell’editore, furono pubblicate in anteprima da Galileo il 22 novembre del 1997.
Storia e geografia dei geni umani
[22 novembre 1997]
L’editore Adelphi pubblica in questi giorni “Storia e geografia dei geni umani” di Luigi Luca Cavalli Sforza, Alberto Piazza e Paolo Menozzi. E’ un’opera monumentale, 716 pagine, di cui si parla da anni e che contiene i risultati fin qui raggiunti di un lavoro altrettanto monumentale: il progetto di rintracciare la popolazione da cui tutti gli umani hanno avuto origine e scoprire i percorsi della nostra diffusione sul pianeta terra. Ma non solo: Charles Darwin aveva scritto nell’”Origine delle specie” che “se possedessimo una perfetta genealogia dell’umanità, una disposizione genealogica delle razze dell’uomo offrirebbe la migliore classificazione delle varie lingue che oggi si parlano nel mondo”. Cavalli Sforza e i suoi colleghi raccontano in questo grande atlante che le cose stanno proprio così.
Detta in parole povere la storia narrata in questo libro, tra formule matematiche e sequenze geniche, suona più o meno in questo modo: tutti gli umani derivano da una popolazione vissuta circa centomila anni fa in Africa. E lo dimostra il fatto che, si legge nella storia dei geni del mondo: “La maggiore differenza genetica all’interno della specie umana si osserva tra le popolazioni africane e quelle non africane”. Differenza che, contando e sequenziando, si calcola corrisponda a circa 100 mila anni di separazione.
Dall’Africa i nostri antenati migrarono spinti forse da un’esplosione demografica, forse da un cambiamento climatico importante, forse da tutt’e due. E andarono verso est, popolando prima il medio e vicino oriente, poi l’Europa e l’Asia e infine l’Australia. Incontrarono altri uomini, diversi in molti rispetti: neandertaliani o erectus o chissà che cos’altro. E, anche se si mischiarono con le popolazioni che incontravano sul loro cammino, del sangue di quegli antichi abitanti del pianeta nel nostro rimane assai poco. Perché mai? E’ ancora il linguaggio a fornire la chiave possibile per forzare un mistero così antico e insolubile.
Gli uomini che mossero dall’Africa, gli Homo sapiens, anatomicamente moderni, avevano alcune caratteristiche particolari: gambe lunghe, pelvi strette. Ma soprattutto: parlavano. Molto più rapidamente e complessamente di quanto, se lo facevano, facessero gli altri. Ed è difficile immaginare che individui capaci di comunicare pienamente si accoppiassero con altri, magari più intelligenti come forse erano i neandertaliani, ma da questo punto di vista handicappati. Così, senza cambiare più di tanto dalla popolazione d’origine, l’uomo moderno arrivò ovunque.
Ma in quei tempi antichi la terra era molto poco popolata: 50, 100 mila individui in tutto. Poi, il clima è cambiato, la popolazione è aumentata e l’uomo si è inventato il modo di uscire dalle strette di un’economia di caccia e raccolta: scopre l’agricoltura e la pastorizia, fonda le città… La genetica delle popolazioni segue le mosse di quegli agricoltori e di quei pastori. Erano gli stessi uomini che avevano lasciato l’Africa 100 mila anni prima per occupare tutte le terre emerse, ma che solo nelle zone più ricche e miti del bacino Mediterraneo, delle pianure caucasiche, del golfo di Siam, delle coste sudamericane scoprono come ingabbiare la produzione del cibo. E, da piccoli gruppi che erano, all’improvviso esplodono, migrano e spargono i loro geni.
Quanto e quanto tempo fa lo si può leggere, conti alla mano, nell’atlante di Cavalli Sforza, che misura le variazioni genetiche: più due popolazioni sono distanti geneticamente, maggiore è il tempo della loro separazione. Ma non solo: le variazioni e le somiglianze diventano le chiavi per capire come e quando i popoli si sono incontrati, hanno convissuto, si sono separati. Il puzzle straordinario delineato da Cavalli Sforza collima con la storia dei popoli, con le loro migrazioni, con i dati antropologici. E con quelli linguistici. La lingua d’origine è una sola, sostengono gli autori del libro con ormai molti altri linguisti. Le differenze linguistiche e culturali aumentarono con il progressivo espandersi della dominazione umana sulla terra.