Un evento colossale. Una vera e propria rivoluzione per i 500 milioni di cittadini europei, con un impatto tale da far impallidire l’arrivo della moneta unica nel 2000. Così Luciano Floridi, docente alla Oxford University, padre dell’etica informatica e della filosofia dell’informazione, definisce il nuovo Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali approvato lo scorso 14 aprile. Una nuova norma sulla privacy, dunque, con la quale l’Europa tenta di farsi valere con i giganti del Web, che questi dati posseggono e utilizzano per scopi che non sempre tengono conto dei diritti dei loro proprietari.
Il nuovo regolamento, di cui si è parlato recentemente all’Università di Ferrara nel corso del seminario “Di chi sono i dati”, riguarda tanto i cittadini quanto le aziende che intendano operare sul territorio europeo, indipendentemente dalla sede legale.
Per i privati cambierà la propria esistenza in rete: saranno più e meglio informati sull’utilizzo dei propri dati, ottenendo nuovi diritti. Software, hardware e servizi dovranno essere progettati pensando specificamente alla salvaguardia della privacy dell’utente, che dovrà essere informato in caso di violazione dei dati personali. Ciò comporta il pieno controllo sulla costruzione e l’utilizzo del proprio profilo on line, tanto che vengono finalmente regolamentati il diritto all’oblio, la possibilità di chiedere che i propri dati vengano cancellati e deindicizzati, e il diritto alla portabilità dei dati da un fornitore di servizi a un altro.
Anche per le aziende, afferma Floridi, i cambiamenti sono importanti: se da una parte avranno molti obblighi aggiuntivi (e relative sanzioni, dall’altra avranno anche molte opportunità per sfruttare al meglio il mercato unico digitale, trattando con una singola Autorità garante della privacy per tutti i Paesi europei. Si stima infine, che con l’obbligo di istituire, nelle aziende che gestiscono oltre 5.000 profili, la nuova figura professionale del Data Protection Officier, si creeranno anche molti nuovi posti di lavoro
Se è vero, che il 70% dei cittadini del vecchio continente si dice preoccupato che le aziende possano utilizzare i dati sensibili per scopi diversi da quelli dichiarati (secondo una rilevazione Eurobarometro 2015), è anche vero che in pochi hanno la reale percezione della portatata dei fenomeno. In cambio del “dono” di informazioni, della condivisioni gratuita su piattaforme e social media, ogni singola azione compiuta on-line viene radiografata: posizione geografica, siti visitati, ricerche e acquisti effettuati, conversazioni e condivisioni di foto e informazioni. Nulla viene cancellato: chi siamo, dove siamo, cosa facciamo, cosa pensiamo, quali sono le nostre preferenze alimentari, politiche, sociali, sessuali può essere ricavato con appositi algoritmi. Un’immensa quantità di dati che dice tutto di noi e ci conosce, forse, più di quanto conosciamo noi stessi.
L’identità che ci costruiamo sulla Rete continua a vivere anche off-line, non c’è più separazione tra il mondo reale e quello virtuale, Viviamo tutti , secondo il docente di Oxford, on-life.
“Con il nuovo Regolamento, l’Unione Europea”, commenta Floridi, “ha finalmente preso coscienza del problema, e tenta di porre un freno all’attuale strapotere delle aziende che detengono il monopolio delle informazioni.
Il mondo socio-politico”, continua lo studioso “ha delegato per troppo tempo al mondo imprenditoriale privato il disegno e la gestione dell’architettura dell’informazione, Il rischio è elevatissimo”.
Le aziende californiane – in una posizione di monopolio assoluto – guadagnano cifre enormi sulla pubblicità delle aziende produttrici di beni e servizi e controllano il flusso dei dati. Oggi lo controllano – con una strategia del “dono” agli utenti finali – in maniera benigna ma questo non basta a rassicurare, perché il giorno in cui dovessero smettere di esserlo, noi non avremmo alcuna strategia di difesa. “Abbiamo dato le chiavi di casa a Google, Amazon, Facebook, Twitter. Quello che non abbiamo fatto è chiederci: ma se un giorno dovessero usare le chiavi di casa per fare qualcosa che non ci piace, noi che facciamo?”.
I 28 Stati Europei hanno adesso due anni di tempo per adottare il Regolamento e farlo diventare, senza modifiche, Legge unica per la privacy: la partita si gioca tutta sull’interpretazione degli articoli. La posta è enorme: dai diritti fondamentali dell’individuo, allo sviluppo dell’economia digitale alla lotta al terrorismo. Un treno che, questa volta, con più di vent’anni di ritardo, Bruxelles non può permettersi di perdere.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara