Noi tutti, più o meno consapevolmente, ci affidiamo ai nostri sensi per capire se acquistare o meno un prodotto. Per esempio siamo più propensi a comprare un bel cestino di fragole rosse e profumate, rispetto a uno di fragole pallide e inodori. Ma possono i nostri sensi dirci anche quando acquistare un determinato prodotto? Secondo i ricercatori della Brigham Young University e dell’Università di Washington sì: a seconda che le campagne di marketing influenzino di più la vista, l’udito o l’olfatto e il gusto i consumatori sono portati a procedere all’acquisto in tempi diversi.
La ricerca, pubblicata su Journal of Consumer Research, ha coinvolto complessivamente più di 1.100 persone, e suggerisce che le pubblicità che fanno leva sui sensi come la vista e il suono portano generalmente a ritardare l’acquisto, mentre quelle che puntano sui sensi più prossimi, come il tatto o il gusto, portano il consumatore ad acquistare prima. Secondo Ryan Elder, autore principale del paper e professore di marketing alla BYU, e colleghi, sarebbe l’utilizzo di diverse parole e strategie comunicative a innescare sensi diversi, portando a risultati commerciali differenti.
Il principio che sta alla base di questa ricerca, come evidenziato dagli stessi autori in una precedente pubblicazione, risiede proprio nel concetto per cui “lo stimolo di diverse modalità sensoriali (ad esempio immaginando un barbecue attraverso l’odore rispetto alla visione) influenza la percezione della distanza dal prodotto pubblicizzato”. Sensi come olfatto e gusto richiedono necessariamente prossimità per essere sperimentati, al contrario di vista e udito. Anche se questo non risulta essere vero per tutto il regno animale, per l’essere umano lo è e “gli inserzionisti sono sempre più consapevoli dell’influenza che gli stimoli sensoriali possono svolgere”, ha dichiarato Elder.
Entrando nel dettaglio i ricercatori hanno cercato così di stabilire come queste vicinanza o distanza sensoriali influensassero le possibilità di acquisto, e hanno così dimostrato che le persone davanti alla presentazione di un prodotto o di un evento, se stimolate attraverso immagini evocative per i sensi del gusto e del tatto, sono più interessate nell’avere quel prodotto o nel partecipare a quell’evento il prima possibile. Davanti a due differenti recensioni di un ristorante fittizio, di cui una incentrata sul gusto/tatto, mentre l’altra incentrata sul suono/visione, i soggetti dello studio che hanno letto la prima delle due recensioni sono stati significativamente più propensi a fare una prenotazione più vicino possibile alla data attuale.
In un altro esperimento in cui due diverse locandine di una festa estiva, che si sarebbe tenuta il weekend successivo e poi ripetuta il prossimo anno, sono state presentate a due gruppi distinti. Le persone che hanno avuto la versione che enfatizzava il gusto (“Potrai assaggiare i sapori straordinari …“) hanno avuto un maggiore interesse a partecipare a un festival questo fine settimana, rispetto a quelli che hanno letto la versione focalizzata più sul suono (“Ascolterai i suoni incredibili…”). Queste infatti erano più propense a partecipare al festival l’anno prossimo.
“La visione e il suono, che sono esperienze sensoriali più distali, contribuiranno a vendere esperienze lontano da dove si trova il consumatore o porteranno ad acquisti futuri”, riassume Elder a Fast Company. “Al contrario, il gusto e il tatto, che sono esperienze sensoriali più prossime (più vicine), contribuiranno a vendere esperienze fisicamente vicine al consumatore o ad acquistare prodotti in quel momento”. Personalizzare le strategie comunicative a seconda che si tratti ad esempio di eventi vicini temporalmente sembrerebbe quindi la strategia vincente. Secondo Elder, gli inserzionisti stanno iniziando a ragionare in termini di distanza verso il consumatore, cercando di relazionare quella sensoriale con quella fisica, quella sociale (quanto è vicina la relazione tra gli individui), o anche quella temporale, scegliendo le giuste sensazioni da evocare, a seconda dell’obiettivo da raggiungere.
Riferimenti: Journal of Consumer Research