Vademecum online per farla finita. Nel mare magnum del Web si trova anche questo, e con assoluta facilità. Basta digitare la parola giusta in un portale di ricerca e il gioco è fatto. A denunciare la Rete come potenziale istigatore di comportamenti pericolosi – ancor più della televisione e di qualsiasi altro media – è il British Medical Journal che, nel suo ultimo numero, ha reso noti i risultati di un esperimento decisamente particolare. Un gruppo di ricercatori delle Università di Bristol, Oxford e Manchester, infatti – spinto da alcuni recenti articoli pubblicati dalla stampa popolare riguardo l’influenza negativa esercitata da Internet nei confronti di chi medita di compiere il più estremo dei gesti – ha cercato di quantificare esattamente il fenomeno. Con risultati sorprendenti.
È bastato infatti andare su Google, Yahoo, Msn e Ask e analizzare i primi dieci risultati ottenuti digitando dodici parole chiave relative ai temi del suicidio e della morte. Su un totale di 240 siti, la metà presentava informazioni dettagliate sui diversi metodi per uccidersi e quasi un quinto (90 siti) era specificatamente dedicato all’argomento. Il 50 per cento di questi, inoltre, conteneva palesi incoraggiamenti al suicidio. Solo il 13 per cento (62 siti), invece, era focalizzato sulla prevenzione e sul sostegno, mentre 12 per cento (59) sul tentativo di scoraggiare apertamente tale scelta.
Secondo i ricercatori, ancora, Google e Yahoo sono i portali dove è più facile risalire a indirizzi dedicati a questo tema, mentre Msn è quello che ha selezionato il più alto numero di siti di prevenzione e sostegno. I tre motori di ricerca più citati, però, sono tutti “pro-suicidio”, seguiti immediatamente dalle voci in merito di Wikipedia. In ognuna di queste fonti, così, sono state reperite specifiche dettagliate sulle diverse modalità: dalla probabilità di successo al livello di dolore da subire. Il Bmj sottolinea, così, come attualmente nel Regno Unito non esista alcuna regolamentazione in grado di dirimere la questione: di fatto i siti sono legali e l’unico parametro è l’autoregolamentazione dei provider o l’utilizzo di software-filtro da parte degli adulti nei confronti dei figli minorenni (per altro aggirabili con poca fatica). In breve, conclude l’articolo, la sola strada praticabile è stimolare i provider a predisporre i propri servizi in modo da massimizzare la probabilità di selezione di siti di prevenzione, scartando quelli potenzialmente pericolosi. (l.s.)