È il disturbo alimentare più frequente a livello globale. Colpisce circa l’1% della popolazione, costringendo chi ne soffre a seguire un’alimentazione rigorosamente priva di glutine. Parliamo della celiachia, malattia cronica intestinale scatenata, per l’appunto, dall’ingestione di cereali che contengono glutine, un complesso proteico presente nei cereali come frumento, segale, orzo, avena,farro, Kamut® e molti altri. Dal 16 al 22 maggio ricorre la Settimana nazionale della celiachia, una manifestazione proposta dall’Associazione italiana celiachia (Aic) “per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e i media su una patologia che riguarda una persona su cento e in totale circa 600mila italiani”. Tra le iniziative proposte dall’Aic nelle varie regioni italiane, troviamo convegni scientifici, incontri con dietisti e psicologi, tornei sportivi e corsi di cucina (qui il programma completo). Ecco il nostro recap sulla malattia.
Cos’è
La celiachia è una malattia intestinale autoimmune, ossia un’alterazione che porta le difese immunitarie dell’organismo a scatenare reazioni che danneggiano parti dell’organismo stesso. In particolare, la celiachia è causata da una reazione immunitaria alla prolamina, una delle proteine che costituiscono il glutine.
Nei soggetti malati, i linfociti T (un tipo di cellule del sistema immunitario) vengono attivati dalla prolamina e attaccano le mucose intestinali, provocandone la progressiva atrofia a meno che non si segua una dieta rigorosamente priva di glutine.
La malattia ha una forte componente genetica: uno studio condotto sui familiari di pazienti celiaci, infatti, ha svelato una probabilità di ammalarsi superiore del 10% (del 30% nel caso di gemelli monozigoti) rispetto a chi non ha familiarità con la malattia.
I sintomi
Come spiegano all’Aic, la celiachia è caratterizzata da un quadro clinico variabilissimo. I sintomi più comuni sono diarrea, dimagrimento, amenorrea, dolore addominale e stanchezza cronica. Man mano che la malattia va avanti, sempre se non si adegua la propria alimentazione all’intolleranza al glutine, l’intestino si danneggia sempre più e si va incontro a un aumento del rischio di sviluppare adenocarcinomi, linfomi, ulcere edepilessia.
Le persone celiache, quindi, devono modificare la propria dieta in modo permanente, escludendo rigorosamente tutti gli alimenti che contengono glutine ed evitando ogni trasgressione. L’Aic sottolinea inoltre la necessità di “ridurre il più possibile le contaminazioni, i rischi di ‘assunzione nascosta’ di glutine a causa di comportamenti errati”
Cosa fare
In caso di sospetta celiachia, è anzitutto indispensabile eseguire una corretta diagnosi, senza eliminare il glutine dalla propria dieta prima di aver completato tutti gli accertamenti, perché in questo modo si potrebbero silenziare i sintomi della malattia. Per diagnosticare con certezza la celiachia è necessaria l’analisi dei villi intestinali, prelevati mediante una biopsia eseguita nel corso di una gastroscopia.
Dopo la diagnosi, come già ricordato, è necessario seguire per tutto il resto della propria vita una dieta senza glutine, che porta, nel corso del tempo, a una completa remissione dei sintomi. Nello specifico, la dieta delle persone celiache contiene sia prodotti naturalmente privi di glutine che prodotti lavorati a contenuto in glutine inferiore a 20 parti per milione (20 mg/Kg), definiti dalla legge gluten free o senza glutine. Anche piccole quantità di glutine possono essere molto tossiche per chi soffre della malattia.
Purtroppo, al momento non ci sono terapie che permettano di guarire dalla celiachia. L’unica strada da seguire è la completa eliminazione del glutine dalla propria dieta.
Qualche numero
La celiachia è la più frequente intolleranza alimentare a livello globale, con una prevalenza media dell’1% circa. L’Italia è in linea con queste cifre: sono 600mila le persone che si stima soffrano di celiachia nel nostro paese, anche se molti di essi non conoscono ancora la loro diagnosi. I casi accertati, a oggi, sono 164mila: oltre 400mila pazienti, dunque, non sanno di essere celiaci, anche perché, come ricorda l’Aic, “il percorso che porta alla diagnosi è ancora difficoltoso e lungo: in media occorrono 6 anni per ricevere la diagnosi di celiachia”.
I casi, tra l’altro, sembrano essere in crescita: secondo il rapporto annuale redatto dal Ministero della Salute, nel 2013 si sono registrate 15mila diagnosi in più rispetto al 2012. Un aumento, come ha spiegato Alberto Chiriatti, vice segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale, “legato soprattutto al fatto che oggi i medici sono molto più sensibili a questo problema. Un tempo il paziente con intolleranza al glutine era identificato come una persona molto magra e con l’aspetto sofferente legato a vari problemi di salute. Oggi la persona in cui riscontriamo la celiachia può avere anche un’apparenza florida, tutt’altro che emaciata”.
Intolleranza, allergia, sensibilità
Attenzione: la celiachia non è un’allergia. Al contrario, sempre stando a quanto riportano gli esperti dell’Aic, l’allergia al frumento “è una condizione patologica completamente diversa dalla celiachia, coinvolge meccanismi immunitari diversi, è scatenata da un complesso di molecole del grano diverse dal glutine, e comporta tempi di risposta e reazioni ben diverse da quelle della celiachia, inclusi l’eruzione cutanea e lo shock anafilattico”.
E ancora: la celiachia non è neanche la cosiddetta gluten sensitivity, o sensibilità al glutine, che invece è una reazione alla sostanza i cui meccanismi non sono ancora ben noti alla comunità scientifica e che non sembra provocare lesioni alla mucosa intestinale.
Bufale
Un rapido debunking anche riguardo alla celiachia. Qualche tempo fa Luciano Pecchiai, primario ematologo emerito all’ospedale Buzzi di Milano, ipotizzò , come riportava Panorama un “nesso causa-effetto tra preciso tra modificazioni genetiche del frumento e celiachia”, che, se dimostrato, avrebbe imposto l’immediata sospensione “della produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine”. Ovvero, in altre parole: Pecchiai ipotizzava l’esistenza di una possibile correlazione tra ogm e insorgenza della malattia.
Ma non è così: come abbiamo spiegato, la celiachia è una malattia a forte componente genetica, correlata alla presenza di due antigeni (Hla Dq2 e Dq8, per la precisione), presenti in circa il 20% della popolazione. Antigeni che sono condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della malattia (il loro contributo è stimato nel 50% al massimo): è dunque impossibile, anche se ci fosse una reale correlazione tra ogm e celiachia – cosa tutt’altro che provata – che tutta la popolazione si ammalasse.
È da smentire anche la teoria secondo la quale la celiachia sarebbe in qualche modo collegata all’insorgenza di autismo: in uno studio pubblicato su Jama Psychiatry, infatti, gli scienziati della Mayo Clinic hanno esaminato le cartelle cliniche di quasi 300mila soggetti che si erano sottoposti a biopsia intestinale e hanno confrontato i tassi di autismo nel gruppo di pazienti con celiachia accertata e di pazienti sani, svelando che non c’è alcuna connessione tra le due patologie.
Via: Wired.it
Credits immagine: Guillaume/Flickr CC
Si tratta di una stranissima forma di disease mongering. La regola generale prevede che dietro al disease mongering ci sia Big Pharma. In questo caso c’è un’azione di lobby fra ricercatori e pazienti che – scavalcando la Scienza – ha ottenuto che una costosa dietoterapia fosse a carico dello Stato, senza che si sia svolta alcuna validazione scientifica, cioè, in altre parole, senza che si sia effettuato alcun RCT (Randomized Controlled Trial). Se non siamo nel mondo della stregoneria, poco ci manca.