Cyberpolemica sui sistemi extrasolari

Circa due anni fa, due astronomi svizzeri dell’Università di Ginevra, Michel Mayer e Didier Quieroz, annunciarono la scoperta di un pianeta in orbita attorno a 51 Pegasi, una stella della nostra Galassia, simile al Sole. La notizia fece scalpore. Ad essa ne seguirono altre, fino a portare a dieci il numero dei pianeti extrasolari scoperti fino ad ora. Ma proprio in questi giorni, tra i “cacciatori di pianeti” si è diffusa una notizia sensazionale: il pianeta di 51 Pegasi non esiste. Questo, almeno, è quanto risulta dalle osservazioni che David Gray, dell’Università del Western Ontario, Canada, ha svolto per sette anni su questo presunto “sistema solare”. Le sue conclusioni hanno dato il via ad un accesissimo dibattito planetario a colpi di Internet, spostando gli astronomi dalle vette degli osservatori al loro campo di battaglia preferito, il cyberspazio. Al centro del dibattito sono anche i metodi che gli astronomi utilizzano per individuare l’eventuale presenza di pianeti attorno alle stelle. Questi ultimi sono infatti troppo piccoli e troppo poco luminosi per essere visti direttamente con i telescopi, dal momento che la luce della stella nasconde qualsiasi “bagliore” planetario. Per questo, gli astronomi sono costretti ad individuarne la presenza utilizzando dei metodi indiretti.Il metodo solitamente utilizzato si basa sullo studio del moto della stella. La presenza di un pianeta orbitante attorno ad un astro causa piccole oscillazioni nella velocità della stella stessa, la cui ampiezza dipende dalla massa del pianeta e dalla sua distanza. Queste variazioni di velocità si riflettono nella posizione delle righe caratteristiche dello spettro della stella, originate da elementi come ferro, calcio e iodio. Le righe sono spostate dalla loro posizione “a riposo” in una certa direzione (spostamento verso il blu, o “blueshift”) quando la stella viene verso di noi, e nella posizione opposta (spostamento verso il rosso, o “redshift”) quando la stella si allontana.La misura dello spostamento delle righe dello spettro, combinata con la misura del periodo dell’orbita della stella, permette agli astronomi di calcolare la massa del pianeta e la sua distanza dalla stella. Con questo metodo, Mayer e Quieroz ritenevano di aver individuato attorno a 51 Pegasi, ad una distanza simile a quella di Mercurio dal Sole, un pianeta circa 150 volte più pesante della Terra (pari a metà della massa di Giove). Il pianeta avrebbe compiuto un’orbita completa attorno al suo sole in 4,5 giorni. Per confronto, Mercurio impiega 88 giorni per compiere un’orbita completa attorno al Sole.Tutto ciò che gli astronomi sanno riguardo alla formazione di stelle e pianeti indica che nessun pianeta di tale massa può formarsi, e tanto meno “sopravvivere”, ad una tale distanza dal suo Sole. Ma i dati osservativi di Mayer e Quieroz sembravano non lasciare dubbi. Finché Gray non ha rimesso tutto in discussione attribuendo la variazione dello spettro di 51 Pegasi ad una pulsazione della stella piuttosto che alla presenza di un pianeta. Sono stati avanzati molti argomenti a favore dell’una o dell’altra ipotesi, tutti ugualmente validi, ma nessuno conclusivo.Proprio in questi giorni è stato perfezionato negli Stati Uniti un nuovo metodo di ricerca di pianeti extrasolari, basato sulle variazioni della luminosità della stella (dovute al passaggio del pianeta che ne oscura una frazione di superficie) piuttosto che sulle righe spettrali. Applicando questo metodo a 51 Pegasi, non è stata trovata alcuna evidenza di pulsazione. La questione sarà definitivamente chiusa in autunno, quando 51 Pegasi sarà nuovamente visibile in cielo: solo allora gli astronomi saranno in grado di risolvere definitivamente la questione.

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