Dall’uomo al gatto?

“Quando è stato ricoverato i familiari hanno segnalato ai medici il fatto che anche il gatto cominciava a sbandare”. Così Salvatore Monaco, professore associato del Dipartimento di Clinica Neurologica dell’Università di Verona, introduce la storia di un uomo vittima del morbo di Creutzfeldt Jakob (Cjd) e della morte del suo gatto, il cui racconto sulle pagine di “The Lancet” ha messo in allerta il mondo scientifico.

L’uomo, un sessantenne, era gravemente ammalato, ma la causa della sua malattia non è stata subito chiara: “Poteva essere un’infezione, un’encefalite, un batterio”, prosegue Monaco, che è anche uno degli autori dello studio. “L’encefalogramma rivelò un quadro tipico di Cjd, il morbo dell’encefalopatia spongiforme che colpisce nel mondo un uomo su un milione e che in Italia conta circa 60 casi all’anno. Anche il quadro clinico era quello tipico del morbo che colpisce il cervelletto: atassia, sbandamenti e agnosia visiva, l’incapacità cioè di riconoscere gli oggetti che si vedono”. Questi sono i sintomi della forma sporadica, quella più frequente: riguarda circa il 90 per cento dei casi e generalmente ha una progressione precipitosa. “L’uomo è infatti deceduto dopo due mesi e mezzo”.

A quel punto gli studiosi, colpiti dalla singolare coincidenza della malattia del felino e del suo padrone, hanno deciso di eseguire l’autopsia sull’animale. Allo stesso tempo, hanno recuperato il materiale di 40-50 encefali di pazienti deceduti negli anni passati per osservarne i tessuti. “Procedendo alla tipizzazione biochimica con la metodica del Western Blot per lo studio dei ceppi di prioni – spiega Monaco – potevamo vedere se si trattava di una nuova variante, quella responsabile della ‘mucca pazza’ o Bse, oppure di una forma sporadica, che consentiva di escludere la Bse in entrambi i casi”. Negli ultimi anni alcuni casi di giovani colpiti da una nuova variante del morbo di Creuzfeldt è stata correlata all’assunzione alimentare di carne contaminata dal morbo della mucca pazza, ma di questo si è avuto riscontro finora soltanto in Inghilterra e il doppio caso italiano non è collegabile alla sindrome bovina. E a oggi il ceppo che ha colpito l’uomo deceduto e il suo gatto non solo risulta simile, ma è correlabile alla Cjd dell’uomo.

“Di solito il ceppo del morbo della mucca pazza rivela un deposito di proteina anomala a forma di placca, mentre il deposito detto ‘puntato fine di tipo sinaptico’ è una prorietà intrinseca del ceppo di prione che provoca il morbo di Creutzfeldt e che presentavano sia l’uomo che il gatto. La malattia da Bse, inoltre, causa disturbi psichiatrici e il suo decorso può durare anche molti anni, mentre la Cjd ha un decorso molto veloce e provoca subito sintomi atassici, come abbiamo notato anche nel nostro caso. Ora la risposta ai nostri dubbi ci verrà dagli esperimenti di inoculazione nei topi appena cominciati”.

E’ la prima volta, anche se l’ipotesi degli studiosi italiani deve essere ancora confermata, che in un felino viene riscontrata la stessa malattia degenerativa del suo padrone. “Ci vorrà qualche anno per scoprire se la malattia è stata finora semplicemente ignorata nei gatti, oppure se ci può essere trasmissione da uomo a gatto o viceversa”, afferma Monaco. “Andando a vedere la letteratura scientifica sugli animali, ci siamo resi conto che i disturbi atassici nel gatto sono molto diffusi, ma su 200 casi studiati in Inghilterra abbiamo visto che tre casi erano dovuti alla Bse e che per esclusione si è pensato fossero tutti correlabili a una contaminazione di tipo alimentare”. Ora la ricerca svelerà se il caso studiato dagli esperti italiani è il frutto di una pura e singolare coincidenza o se ci può essere stata trasmissione dell’encefalopatia spongiforme dall’uomo all’animale, colpiti da una fonte comune di contaminazione.

Insomma, i prioni potrebbero riservare altre spiacevoli sorprese. Dopo la pubblicazione della lettera firmata dal dottor Gianluigi Zanusso dell’Università di Verona, i maggiori laboratori del mondo hanno invitato i ricercatori italiani a inviare materiale per lo studio del caso. “Avevamo già avviato una collaborazione con il gruppo del professor Aguzzi in Svizzera, ora siamo stati contattati anche da John Collinge a Londra, un’autorità in materia, per avere dati tecnici e tessuti. Ora daremo i tessuti a chiunque possieda laboratori adeguatamente attrezzati e suggeriamo di approfondire lo studio dei felini con disturbi neurologici nella speranza che la scienza possa fare chiarezza su questa malattia”.

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