Dopo il gravissimo incidente che ha coinvolto la petroliera britannica Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, anche i fisici si sono rimboccati le maniche per far fronte ai disastri ecologici che avvengono in mare. Igor Mezic, ingegnere meccanico alla UC Santa Barbara, Usa, ha sviluppato un modello capace di predire il movimento di fluidi contaminanti come il petrolio sulla superficie degli oceani. Il modello, che garantisce previsioni accurate sino a tre giorni, viene descritto sulle pagine di Science.
Prevedere quando e dove una macchia di petrolio si muoverà sulla superficie di un oceano non è cosa facile. Il problema è sia il grande volume d’acqua coinvolta, sia il vento che muove costantemente la superficie, generando correnti di diversa intensità e direzione. Per superare queste problematiche, Mezic e la sua equipe hanno combinato meccanica dei fluidi e meteorologia. La prima è servita per descrivere il modo in cui una macchia di petrolio tende a dividersi in filamenti sotto l’azione delle diverse forze in gioco; le seconde, mutuate da un modello della marina statunitense, per capire le dinamiche di movimento delle acque oceaniche superficiali.
Le simulazioni “a ripetizione” (qui il link per scaricare i video) hanno predetto i tempi e modi di propagazione del petrolio al largo del delta del Mississipi, sulle spiagge della Florida e su Panama City Beach. Di queste previsioni si sono serviti i volontari impegnati nella bonifica delle acque dal petrolio. Un aiuto più che valido, dato che i calcoli, verificati attraverso un survey aereo realizzato dal Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), si sono dimostrati accurati entro un margine di errore di due miglia.
Per i ricercatori, il modello potrà essere utilizzato per fare previsioni sulla diffusione di altri tipi di contaminanti, ad esempio le ceneri liberate da un’esplosione vulcanica. “Il modello è universale”, conclude Mezic: “Può essere applicato ogniqualvolta un agente contaminante si diffonde attraverso un mezzo liquido o gassoso”.
Riferimento: DOI: 10.1126/science.1194607