“Ha destato scalpore la notizia apparsa sulla stampa, a seguito dell’inchiesta pubblicata da “l’Espresso” secondo cui tramite Internet sarebbe possibile acquistare farmaci evitando tutti i controlli sanitari posti a tutela dei cittadini”. Così inizia l’interrogazione parlamentare presentata da sette deputati (Burani, Procaccini, Baiamonte, Del Barone, Divella, Filocamo e Stagno D’Alcontres) dopo l’inchiesta di Galileo sull’acquisto di medicinali su Internet, pubblicata qualche settimana fa anche su “l’Espresso”. Ci sarebbe di che essere soddisfatti. Solo che a leggere il testo dell’interrogazione resta la sensazione che gli onorevoli siano partiti da una denuncia per arrivare a una promozione, quella degli interessi dell’industria farmaceutica italiana.Tra le ragioni che – dicono gli interroganti – possono spingere all’acquisto tramite Internet ci sarebbero “i ritardi nell’immissione sul mercato italiano di farmaci innovativi e importanti per la cura di patologie di rilevante impatto sociale o la volontà di limitare l’erogazione di alcuni farmaci solo a strutture pubbliche”. Per la verità di farmaci del genere non si parlava granché nell’inchiesta. E’ strano piuttosto che gli interroganti non abbiano chiesto all’onorevole ministro come sia possibile che farmaci made in Italy tornino in patria dall’estero con foglietti illustrativi e indicazioni diverse da quelle autorizzate in Italia.Tra i farmaci acquistabili via Internet ci sono, piuttosto, molti fossili dell’era Poggioliniana, “farmaci di conforto”, giustamente collocati in fascia C, cioè interamente a carico dell’acquirente. Che però, più che i malati, confortano gli interessi dell’industria. Evidentemente una spesa ufficiale di circa 3000 miliardi, che gli italiani sborsano ogni anno per il consumo di farmaci inutili, non basta. Si vorrebbe recuperare anche quella fetta di mercato che ora si rivolge a Internet. Ma questo è solo un segno di come il solco scavato negli anni scorsi in tema di malaprescrizione sia difficile da colmare.