È il materiale di cui sono fatte, tra le altre cose, le monete da uno e due euro. Ma non solo. Il nichel è ancora molto utilizzato, grazie alla sua ottima resistenza all’ossidazione, per produrre molti prodotti industriali e di consumo: l’acciaio inossidabile, per esempio, o le batterie ricaricabili. E oggi, grazie a un lavoro di Xiaochun Liu e colleghi, ricercatori allo Shenyang National Laboratory for Materials Science, pubblicato su Science, questo materiale potrebbe diventare ancora più utile e versatile. Gli scienziati, infatti, hanno recentemente scoperto una tecnica per rendere la forma pura del metallo ancora più forte, più dura e più resistente all’usura. Secondo gli autori del lavoro, tra l’altro, il processo potrebbe essere utilizzato anche per “rinforzare” altri metalli.
Il nichel, che prende il suo nome dalla parola svedese Nicolaus, anticamente associata a un folletto irrequieto e dispettoso, è un metallo argenteo, che appartiene al gruppo del ferro, duro, malleabile e duttile. Lo si estrae da due tipi di depositi minerali, le lateriti e i solfuri di origine magmatica, piuttosto diffusi in natura (si stima che le risorse disponibili ammontino a circa 130 milioni di tonnellate). Gli scienziati hanno cercato a lungo di intervenire sulla microstruttura del nichel per renderlo più forte: il problema è che, di solito, tale procedimento rende il metallo meccanicamente e termicamente instabile.
Per evitarlo, gli scienziati cinesi hanno sottoposto un campione di nichel alla cosiddetta deformazione plastica, un procedimento in cui il materiale viene tirato in modo forte e costante per cambiarne la forma senza provocare crepe o rotture: il processo ha “inclinato” la superficie del campione, creando una struttura superficiale composta di varie lamine sovrapposte, ciascuna dello spessore di pochi nanometri (il nichel “tradizionale” ha invece una struttura tridimensionale a grana fine). Sono proprio queste piastre bidimensionali, secondo i ricercatori, a essere responsabili dell’aumento della forza e della robustezza del materiale – o, almeno, dei suoi strati superficiali – e del miglioramento della sua stabilità termica. Gli autori del lavoro, adesso, hanno intenzione di utilizzare la stessa tecnica su altri metalli, meno tossici del nichel (l’esposizione prolungata alla sostanza ha effetti cancerogeni), per cercare di riprodurne le prestazioni in termini di durezza e resistenza.
Riferimenti: Science doi:10.1126/science.1242578
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