Che i raggi X permettano di osservare la materia nel dettaglio si sa. Ma se fosse possibile raggiungere una precisione tale da riuscire a fare una foto dei processi molecolari più veloci? Se fosse possibile catturare l’immagine di una singola reazione chimica? Un passo in più verso quest’incredibile precisione è stato fatto grazie a un gruppo di ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory, in California, guidati da Nina Rohring, che descrivono sulle pagine di Nature un primo tentativo di laser atomico a raggi X in grado di raggiungere una lunghezza d’onda pari a 1,46 nanometri. Un valore vicino alla barriera dello 0,1 nm: vero obiettivo della ricerca in questo campo, rincorso dagli scienziati da quando i laser sono stati inventati, 50 anni fa.
Gli strumenti tradizionali sono basati su un principio abbastanza semplice. Atomi opportunamente eccitati, che si trovano dunque in uno stato con grande energia ma poco stabile, tenderanno a tornare nella loro condizione fondamentale (a energia minore) emettendo radiazione elettromagnetica. Quando il numero di atomi che si trovano in questo stato è abbastanza alto (condizione che si chiama di inversione di popolazione) si può ottenere quel fascio di luce coerente, monocromatica e collimata che è, appunto, il laser.
Quando però si cerca di operare nello spettro dei raggi X, la storia non è così semplice. Perché l’emissione finale sia abbastanza energetica da ricadere in questo spettro, la radiazione incidente deve essere decisamente molto alta, tanto che finora i laser a raggi X basati sull’inversione di popolazione non erano mai stati creati. Per ottenere delle emissioni così energetiche erano state scelte altre tecniche, come ad esempio il ricorso a fasci di elettroni liberi accelerati a velocità relativistiche, piuttosto che sorgenti atomiche. Sebbene questi laser, chiamati a elettroni liberi, raggiungano delle luminosità mai viste con altri metodi, i laser che ne derivano non sono del tutto coerenti e spesso i loro spettri fluttuano molto. Inoltre, di nuovo, le energie che servono per produrre i raggi collimati sono molto alte e il risultato continua ad essere ben lontano dalla precisione delle emissioni a raggi X duri (ovvero quelli che si avvicinano alla barriera del decimo di nanometro).
Ma ecco arrivare la brillante idea dei fisici californiani: perché non combinare le due tecniche, inversione di popolazione e laser a elettroni liberi? Per farlo i ricercatori hanno usato il Linac Coherent Light Source(LCLS) degli SLAC National Accelerator Laboratory della Stanford University (California), un laser a elettroni liberi a emissione di raggi X (Xfel), per colpire un gas di neon ad alta pressione.
In questo modo hanno ottenuto che una parte degli atomi del gas venissero eccitati tanto da emettere nello spettro dei raggi X, pulsazione che a sua volta ha stimolato altri atomi vicini ad emettere altre radiazioni così energetiche, producendo una sorta di effetto valanga che in gergo viene chiamato fenomeno di auto-amplificazione. In questo modo i ricercatori hanno ottenuto il famoso raggio laser di lunghezza d’onda 1,46 nanometri di cui sopra, che presentava, tra le altre cose, una purezza e una luminosità mai viste. La frequenza di questa emissione fa ancora parte dei cosiddetti raggi X ‘molli’ (in contrapposizione a quelli ‘duri’, cercati dagli scienziati), ma sicuramente promette di avvicinarsi all’obiettivo finale. “ Almeno adesso sappiamo che dobbiamo lavorare ancora, ma che stiamo andando nella giusta direzione”, hanno commentato i fisici californiani nello studio. “Ad esempio per migliorare il risultato potremmo lavorare sulla densità del gas su cui lanciamo il primo laser, o giocare con le energie dei raggi incidenti. Provare ad aumentarle ulteriormente, fino a creare un apparecchio che invece di lavorare col neon, funziona a idrogeno o elio”.
via wired.it
Credits immagine: Gregory M. Stewart, SLAC National Accelerator Laboratory