Ad affondare il Titanic non sarebbe stato solo quell’iceberg. O meglio: quel blocco di ghiaccio avrebbe sì inferto il colpo mortale alla nave, ma a farla inabissare sui fondali oceanici sarebbe stata una combinazione di più fattori. Una tempesta perfetta, come la chiama Richard Corfield su Physics World, dove, a un secolo dal disastro, ripercorre la storia del famoso transatlantico, arricchendola di particolari. Come per esempio quello, poco conosciuto, sullo scafo: sarebbe stato costruito male nei cantieri navali, con prodotti scadenti, usati per risparmiare. Anche per il lussuoso Titanic. Così, dopo l’ipotesi di un coinvolgimento lunare nel disastro, riprende corpo anche quella di un problema fisico, materiale, che avrebbe reso il transatlantico più indifeso.
Perché il Titanic, cento anni dopo essere affondato, continui a far discutere è presto detto. Non era una nave qualunque. Era un gioiello (letteralmente, visto che costò 7,5 milioni di dollari) di tecnologia e di sicurezza, con dispositivi all’avanguardia, come il sistema di comunicazione via radio. Eppure quel gigante da 46mila tonnellate precipitò velocemente, forse anche troppo, sui fondali dell’oceano Atlantico nel giro di neanche tre ore. Il motivo?
Non uno solo. Innanzitutto, l’elevata velocità di crociera tenuta dal capitano Edward John Smith malgrado la presenza (forse segnalata) di iceberg in quelle acque. In secondo luogo, la mancanza di un adeguato numero di scialuppe (sebbene Corfield faccia notare come questo fosse addirittura superiore a quello richiesto dalla legge). In terzo luogo, i problemi di comunicazione via radio, che avrebbero rallentato i soccorsi. Infine, le difficoltà di avvistamento del pericolo, per mancanza di binocoli, e le eccezionali maree verificatesi in quel periodo. Oltre a questi elementi già analizzati, però, ci sarebbero stati almeno altri due fattori fondamentali. Primo fra tutti la fragilità dello scafo, messa in luce dalle analisi effettuate sul relitto compiute dopo la sua scoperta da parte del sottomarino Alvin, e da quelle realizzate sui documenti storici del luogo in cui il Titanic venne assemblato, nei cantieri navali della Harland and Wolff di Belfast, nell’Irlanda del Nord.
A compiere le analisi furono, tra gli altri, due metallurgisti, Tim Foecke del National Institute of Standards and Technology (Usa) e Jennifer Hooper McCarty, della Johns Hopkins University, intorno alla metà degli anni Duemila. Stando a quanto riporta Corfield, quanto scoprirono i due esperti avrebbe avuto un ruolo fondamentale nell’affondamento del Titanic: venne alla luce che i rivetti (i sistemi meccanici utilizzati per tenere unite le lamiere) usati nella costruzione della nave non erano tutti della stessa qualità, né distribuiti uniformemente sulla superficie dellos cafo.
In particolare quelli della prua e delle zone posteriori erano più scadenti –usati forse per risparmiare – e messi a mano (probabilmente per le difficoltà nell’utilizzare i sistemi meccanici nelle zone curve, come prua e poppa).
E proprio la cattiva qualità dei rivetti avrebbe contribuito ad affondare il Titanic, visto che avrebbe reso le lamiere – già realizzate in materiale non adatto alle temperature di quelle acque – meno resistenti, e più soggette ad aprirsi. Questo avrebbe determinato l’ingresso dell’acqua in sei dei sedici compartimenti stagni della nave, due in più del numero massimo sostenibile per non far affondare la nave.
Ma insieme ai problemi materiali di costruzione, ci sarebbero state anche le congiure climatiche a svolgere un ruolo fondamentale nel disastro del Titanic. Accanto all’ipotesi di una superluna, che a sua volta avrebbe determinato eccezionali maree e influenzato il cammino degli iceberg fino a metterli sulla rotta del transatlantico, c’è infatti quella di un muro di ghiaccio creato dall’incontro tra due correnti, la corrente del Golfo e quella del Labrador. Come spiega Richard Norris dello Scripps Institution of Oceanography di San Diego: “Nel 1912 fu un’estate insolitamente calda nei Caraibi e perciò la corrente del Golfo fu particolarmente intensa quell’anno. Dal punto di vista oceanografico, il risultato di tutto questo fu che gli iceberg si concentrarono nel luogo della collisione”. Nello specifico, la differenza di temperatura tra le due correnti avrebbe favorito l’allineamento dei blocchi di ghiaccio: un vero e proprio muro contro il quale si sarebbe trovato poi il Titanic.
via wired.it
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