In insalata o a condimento della pasta, in versione moderna con la menta o più tradizionale nelle zuppe, le fave sono legumi primaverili presenti nella dieta di moltissime culture, compresa la nostra, soprattutto nel periodo paquale. Ma qual è la storia della fava? Può sembrare strano, ma per molto tempo le sue origini sono rimaste poco chiare. Almeno finché i ricercatori del Weizmann Institute of Science di Rehovot in Israele non hanno trovato resti di semi di fava selvatica di 14mila anni in alcuni scavi archeologici a el-Wad, una località sul Monte Carmelo nel nord di Israele.
Contrariamente a quanto possa sembrare, questa scoperta non ha solo un valore storico: comprendere l’ecologia dell’ambiente delle piante selvatiche e l’evoluzione a cui sono andate incontro nel corso della domesticazione è infatti fondamentale per migliorare la biodiversità delle moderne coltivazioni.
Principali autori della scoperta, presentata sulle pagine di Scientific Reports, sono Elisabetta Boaretto e Valentina Caracuta, che già in passato avevano lavorato su resti di semi di fave risalenti a 10.200 anni fa e ritrovati in tre siti archeologici della Bassa Galilea, riuscendo a stabilire il momento in cui la fava era stata addomesticata dall’essere umano.
I resti del sito del Monte Carmelo in Israele, invece, sono più antichi: grazie alla datazione al carbonio e alle analisi di micro-tomografia computerizzata a raggi X, gli esperti hanno potuto affermare che questo nuovo ritrovamento risale a un tempo in cui nella regione viveva un popolo di cacciatori-raccoglitori, i Natufiani, e che dunque i legumi ritrovati non potevano essere che una specie selvatica, che cresceva spontaneamente in natura.
“A un certo punto tra 11.000 e 14.000 anni fa, la gente di questa regione ha addomesticato la fava – più o meno nello stesso periodo in cui altri popoli più a nord addomesticavano grano e orzo” spiega Boaretto. “Comprendere come questa pianta sia stata adattata all’habitat del Carmelo 14.000 anni fa può aiutarci a capire come creare nuove varietà moderne che saranno in grado di resistere di più ai parassiti e di tollerare meglio lo stress ambientale”.
Riferimenti: Science Reports