Gli animali marini si restringono col caldo

Gli animali a sangue freddo che vivono in acqua soffrono il caldo più di quelli terrestri. Tanto che, vivendo in zone con temperature più elevate, da adulti saranno più piccoli di quanto sarebbero stati se cresciuti in ambienti più freddi. Il motivo? Una carenza di ossigeno, che li costringe a crescere meno. È quanto suggerisce uno studio pubblicato su Pnas da ricercatori della School of Biological and Chemical Sciences dell’Università Queen Mary di Londra e dell’Institute of Integrative Biology dell’Università di Liverpool.

Gli autori hanno analizzato le modalità di sviluppo, in condizioni controllate, di 169 specie di organismi ectotermi – ovvero esseri viventi in cui la temperatura corporea dipende dall’ambiente esterno – di aree acquatiche e terrestri, confrontando le dimensioni raggiunte dagli individui adulti in condizioni più o meno fredde.

Uno degli effetti riscontrati con l’aumento di temperatura è stato il “rimpicciolimento” più marcato per gli abitanti dei mari rispetto a quelli della Terra. “Mentre le dimensioni degli animali acquatici diminuiscono del 5% per ogni grado Celsius di riscaldamento, allo stesso modo gli animali terrestri rimpiccioliscono, mediamente, solo dello 0.5%”, ha infatti spiegato Andrew Hirst, uno degli autori della ricerca.

Gli scienziati attribuiscono questa differenza alla necessità di compensare la minore disponibilità di ossigeno nell’acqua rispetto all’aria. Infatti, aumenti anche minimi di temperatura comportano, negli animali a sangue freddo, un elevato stress metabolico che li porta a consumare di più e ad avere quindi bisogno di più ossigeno (vedi Galileo: Anche ai tropici gli animali soffrono il global warming). Ma dal momento che in acqua reperire ossigeno è più difficile che sulla terraferma, si genera un deficit che viene compensato crescendo meno, cioè raggiungendo dimensioni ristrette in età adulta.

Lo studio evidenzia anche un altro rischio riconducibile al riscaldamento globale. Vanno infatti considerate le ripercussioni sulla catena alimentare di cui questi organismi fanno parte, e le possibili conseguenze economiche, visto che, come spiegano gli scienziati, circa 3 miliardi di persone ricavano almeno il 15% delle proteine animali da pesci e altri organismi acquatici.

Riferimenti: Pnas doi: 10.1073/pnas.1210460109
Credits immagine: B*_J/Flickr

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