Li hanno chiamati social silos: sono quei contenitori virtuali di amicizie nate su piattaforme come Facebook, nei quali tutti o quasi tutti la pensano allo stesso modo. E nei quali si rinforzano opinioni già radicate, senza alcuno scambio esterno con persone dalle opinioni diverse, e nessuna permeabilità allo scambio dialettico. Le comunità dei genitori anti-vaccinisti ne sono un fulgido esempio, ma il discorso si applica bene anche alle comunità che discutono di politica o di religione.
Un fenomeno già ampiamente presente, dunque, ma destinato a rappresentare una tendenza ancora più significativa nel 2017: lo sostiene l’Ericsson ConsumerLab nello studio 10 Hot Consumer Trend 2017, il report annuale basato su questionari online inviati a 7000 utenti esperti di Internet (rappresentativi, dice l’azienda svedese, di 27 milioni di consumatori) delle 14 megalopoli del mondo, tra cui Mosca, Città del Messico, Londra, Tokio e Johannesburg. E d’altra parte – si legge nel rapporto – un intervistato su tre sostiene che i social network rappresentino la sua principale fonte di informazione, mentre solo uno su quattro ritiene affidabili le fonti tradizionali, come quotidiani e canali televisivi all-news. C’è di più: oltre il 25 per cento dei pionieri tecnologici ritiene più importanti le opinioni dei suoi contatti rispetto alle parole dei politici. E tra questi, la metà vedrebbe bene in Parlamento un leader AI, visto che quelli in carne e ossa e dall’intelligenza “naturale” non sembrano essere degni di fiducia. “C’è il serio rischio che i muri di questi social silos diventino sempre più impenetrabili”, dicono i ricercatori del rapporto. Gruppi sociali a compartimento stagno, insomma, dove l’altro è il nemico e non un individuo con pari diritto di parola.
Ma a dominare le speranze e le aspettative dei trendsetter globali selezionati dall’azienda svedese è soprattutto l’Intelligenza Artificiale: il 35 per cento del campione esaminato vorrebbe un consulente AI sul luogo di lavoro. C’è chi si spinge oltre: un quarto degli intervistati lo vorrebbe come manager, alla guida dell’azienda. Gli italiani, esaminati in un focus a parte, appaiono meno estremi e più pratici: l’assistente AI sì, ma per sbrigare le faccende correnti, dalle risposte alle email alla ricerca di notizie online, all’aggiornamento dei profili social. Voliamo basso, insomma, anche perché abbiamo paura soprattutto che nel giro di due o tre anni i “robot” ci portino via il lavoro, come pensa poco meno della metà del campione nazionale.
Un’altra tendenza interessante e che segna la distanza tra Italia e resto del mondo riguarda le macchine a guida autonoma. Nelle megalopoli considerate un pedone su quattro, dice il rapporto, si sentirebbe più sicuro nell’attraversare la strada se tutte le macchine fossero a guida autonoma. In Italia, invece, solo il 18 per cento dei cittadini scenderebbe dal marciapiede in tutta tranquillità. In generale il 65 per cento degli intervistati vorrebbe possedere un veicolo a guida autonoma. Da noi, solo il 18 per cento ne desidererebbe una.
Infine, la sicurezza: il tema della protezione dei dati personali è assai sentito, e certamente, dice il rapporto, più di quanto registrato tre anni fa. In Italia circa il 30 per cento del campione si dice preoccupato dal fatto che alcune aziende abbiano accesso alle nostre informazioni. In particolare, gli italiani si fidano poco delle autorità nazionali (governo in primis) nella tutela dei dati, e pochissimo o per niente dei governi stranieri. Si fidano poco anche delle media company come Facebook, LinkedIn e Twitter. E non si fidano moltissimo anche degli operatori telefonici. Di chi si fidano allora? Degli antivirus: in testa alla classifica delle entità a cui si vorrebbe consentire l’accesso ai propri dati personali c’è Norton, seguita a ruota da McAfee.