Se proviamo a chiedere a una donna di quale tipo di tumore abbia più paura, con ogni probabilità otterremo come risposta: il tumore al seno. La riposta è giusta perché effettivamente questa forma di neoplasia è quella più diffusa fra le donne, e campagne di sensibilizzazione e programmi di screening hanno fatto in modo che l’attenzione della popolazione femminile su questa malattia rimasse alto. Ma se chiedessimo: “A esclusione del tumore della mammella, qual è la neoplasia che ti fa più paura?”, nella stragrande maggioranza dei casi la risposta non sarebbe corretta. Già, perché la seconda forma di cancro più frequente nelle donne in Italia è quella del colon retto; per i maschi, invece, rappresenta solo il terzo tumore più diffuso, dopo la prostata e il polmone. Le donne, che generalmente mostrano una maggior sensibilità ai temi della salute, non sembrano prestare a questa malattia la giusta considerazione perché tendono a considerarla “maschile”. Si tratta infatti di una patologia estranea al binomio apparato genitale/mammella al quale spesso, tuttora, ci si riferisce impropriamente quando si parla di “salute della donna” in ossequio al pregiudizio socioculturale, e anche medico, che tutta la vita della donna sia riconducibile alla sfera riproduttiva o sessuale.
Tale approccio, bollato come “sindrome del bikini”, ha effetti deleteri sull’effettiva salute delle donne perché porta ad ignorare o a sottovalutare patologie epidemiologicamente più rilevanti come, tra le altre, le malattie cardiovascolari, prima causa di morte e di invalidità nel sesso femminile dopo i 65 anni e, appunto, il carcinoma colorettale.
Nel caso della cardiologia, l’errata impostazione metodologica fu evidente quando ci si accorse che le donne colpite da infarto arrivavano nelle Unità Coronariche con un significativo ritardo rispetto agli uomini perché i sintomi dell’ischemia, diversi da quelli “tipici” insegnati nelle scuole di medicina e pubblicizzati dai media, non venivano altrettanto prontamente riconosciuti. A differenza che negli uomini, infatti, l’infarto nelle donne tende a manifestarsi più spesso con malessere generalizzato, nausea, vertigini, dolore alla mandibola piuttosto che con il “classico” dolore retrosternale irradiato all’arto superiore sinistro. In un articolo (1) pubblicato nel 1991 sul New England Journal of Medicine e polemicamente intitolato “la sindrome di Yentl” (dal racconto di Salinger nel quale una ragazza, per poter studiare i testi sacri, vietati alle donne, si traveste da uomo), la cardiologa americana Bernardine Healey denunciava come decenni di ricerche condotte solo sui maschi avessero creato il mito che la cardiopatia coronarica fosse una malattia esclusivamente dell’uomo, eleggendo il suo modello a standard per la diagnosi e la terapia.
Anche nel caso del carcinoma colorettale da molti studi emerge che le donne tendono a sottostimare il loro rischio di ammalarsi a causa di una informazione non adeguata che le raggiunge sia dai media sia dai medici che, per primi, tendono a non considerare i due sessi ugualmente a rischio. A tale errata convinzione sembra imputabile la minor attenzione alla prevenzione di tale neoplasia anche da parte di quelle che si sottopongono agli altri screening oncologici. Da un nostro recente studio in via di pubblicazione, condotto intervistando donne con buon livello culturale che si sottoponevano a screening mammografico ed a pap test, è risultato che non solo lo screening per il carcinoma colorettale era il meno praticato fra i tre, ma anche che meno della metà delle intervistate riteneva che la neoplasia fosse frequente nel suo sesso e che una percentuale ancora minore pensava che lo fosse più del carcinoma dell’utero.
A differenza della maggior parte delle neoplasie, il carcinoma colorettale si sviluppa quasi sempre a partire da una lesione benigna che, progressivamente ed in un lasso di tempo variabile, generalmente stimato intorno ad 8 anni, diventa maligna. Proprio per questo il carcinoma colorettale si può prevenire, nel senso che non solo si riesce ad individuarlo prima che dia sintomi grazie alla diagnosi precoce, ma si può evitare che insorga. Le campagne di screening hanno questo scopo e, considerando che in media il cancro insorge intorno ai 65 anni, gli esami vengono consigliati a partire dai 50 anni.
Tra l’altro, sembra che il test più frequentemente impiegato nello screening, la ricerca del sangue occulto, sia meno attendibile nelle donne (2) forse perché, rispetto agli uomini, hanno meno lesioni facilmente sanguinanti, una minor concentrazione di emoglobina ematica ed assumono meno aspirina e farmaci simili. Altre differenze sono segnalate per quanto riguarda alcune caratteristiche della neoplasia che, nelle donne, sembra localizzarsi in tratti diversi del grosso intestino, mostrare particolari aspetti anatomo-patologici e, forse, una prognosi diversa. La localizzazione preferenziale delle neoplasie nel colon destro, segnalata da molti autori, unita alla maggior difficoltà di completare l’esame coloscopico per difficoltà tecniche legate a processi infiammatori o a pregressa chirurgia pelvica nella donna, consiglierebbe di far effettuare l’esame a persone esperte o di ricorrere a metodiche alternative per garantire lo studio di tutto il viscere. Sebbene poi l’incidenza del carcinoma si dimostri uguale in entrambi i sessi, le lesioni benigne e i segnali precursori della malattia si ritrovano più spesso negli uomini (3). Nelle donne, quindi, una coloscopia negativa non sempre potrebbe essere altrettanto tranquillizzante ma richiedere controlli più frequenti. Forse anche a causa della diversa localizzazione delle neoplasie, i sintomi del carcinoma colorettale sembrano diversi fra maschio e femmina, e risulta che i medici tendano a non considerarlo e, anzi, ad attribuire troppo spesso il dolore addominale delle donne a fenomeni legati al ciclo mestruale o al colon irritabile.
Per tutte queste ragioni da molti studi risulta che le donne arrivano alla diagnosi più tardi degli uomini, hanno più spesso interventi d’urgenza e neoplasie in stadio avanzato (4). Inoltre, a parità di gravità della malattia, vengono sottoposte meno degli uomini a terapia adiuvante dopo l’operazione, scelta che si ritiene possa essere influenzata dalla minor assistenza quotidiana che le donne, soprattutto anziane, ricevono rispetto alla controparte maschile anche all’interno dello stesso ambito familiare (5). Da parte loro, le donne stesse prestano scarsa attenzione alla loro salute perché eccessivamente investite della cura della famiglia, come risulta anche da un nostro studio non ancora pubblicato sulle campagne di screening gratuite offerte dalla Regione Toscana secondo il quale i motivi più spesso addotti per rifiutare l’invito a sottoporsi al controllo sono difficoltà logistiche ed impegni familiari.
Al momento, non esistono linee guida differenziate per genere per la diagnosi e la terapia del carcinoma colo rettale ma da tutte queste considerazioni emerge la necessità di verificare se davvero esistono rischi aggiuntivi sesso-specifici per la salute delle donne e, se si, di rimuoverli e che tale compito non compete solo alla medicina ma richiede un impegno culturale ed organizzativo da parte della politica e della società intera.
Bibliografia
1- Healy B., The Yentl syndrome. N Engl J Med. 1991 Jul 25;325(4):274-6
2- Haug U., Hundt S., Brenner H., Quantitative Immunochemical Fecal Occult Blood Testing for Colorectal Adenoma Detection: Evaluation in the Target Population of Screening and Comparison With Qualitative Tests. Am J Gastroenterol 105: 682-690
3- Roy H.K., Bianchi L. K., Differences in Colon Adenomas and Carcinomas Among Women and MenPotential Clinical Implications. JAMA 2009 October 21;302 (15): 1696-169 7
4- Halpern MT, Pavluck AL, Ko CY, Ward EM., Factors associated with colon cancer stage at diagnosis. Dig Dis Sci 2009; 54: 2680-93
5- Paulson EC, Wirtalla C, Armstrong K, Mahmoud NN, Gender Influences Treatment and Survival in Colorectal Cancer Surgery. Dis Colon Rectum 2009 ; 52: 1982-1993
Articolo pubblicato in collaborazione con Ingenere e Associazione Donne e Scienza