Codici segreti e linguaggi cifrati sono diventati un prodotto sempre più richiesto, e le case produttrici di software sono impegnate in una corsa verso il programma di crittografia a prova di spia. Un affare da milioni di dollari, che negli Stati Uniti si sta trasformando anche in un caso politico che scotta. Secondo la rivista Wired si tratta quasi di uno scontro generazionale: da un lato l’entusiasmo delle nuove leve, che vedono nella crittografia la via per lo sviluppo di un mercato elettronico sicuro e affidabile. Dall’altro la diffidenza degli anziani, che temono l’esplosione di traffici illeciti e ogni sorta di frode telematica, protetti e impuniti grazie ai messaggi in codice. Una battaglia che, prima o poi, varcherà le frontiere statunitensi, vista la natura planetaria della rete.
Fino a ieri quello della crittografia era un affare riservato ad agenti segreti e strateghi militari. Al più vi si cimentava qualche fantasioso amante clandestino. Ma come in molti altri settori, Internet ha cambiato un po’ le carte in tavola. Ormai nelle maglie della grande rete passano milioni e milioni di messaggi ogni giorno. Molti contengono informazioni di scarso interesse. Altri sono un po’ più “delicati”: trasferimenti di informazioni tra banche o grandi aziende, ma anche il semplice numero di una carta di credito spedito per effettuare un acquisto via posta elettronica. E vanno protetti da occhi e orecchi indiscreti che potrebbero intercettarli durante il loro viaggio attraverso la rete. Come? Con un programma di cifra, la cui chiave sia a conoscenza solo del legittimo destinatario del messaggio.
A tutt’oggi però, la legge statunitense impedisce di introdurre liberamente sul mercato i programmi di crittografia più sofisticati, considerandoli di interesse militare e strategico. E su questo le due fazioni si stanno scontrando aspramente: il partito pro-crittografia, produttori di sofware in testa, vorrebbe norme più permissive, la vecchia guardia le pretende addirittura più severe. Nelle scorse settimane si è mossa addirittura la polizia federale americana. Il capo dell’Fbi Louis Freeh, durante un incontro dell’Associazione internazionale dei capi delle polizie, ha dichiarato che “grazie alla crittografia, spacciatori di droga, trafficanti di armi, terroristi e spie possono scambiarsi messaggi elettronici con un’impunità senza precedenti”. E all’investigatore costerebbe carissimo, non solo in termini di tempo e di pazienza, trovare le chiave per decifrare anche il più elementare codice in cifre. Così c’è chi propone una legge che imponga ai produttori dei programmi di cifra di depositare le chiavi dei codici a un’agenzia federale. Una sorta di garante che le metta a disposizione degli inquirenti per decifrare i messaggi sospetti.
Pura follia, risponde il partito avverso. “Come chiedere ai cittadini di depositare presso un agenzia federale una copia delle loro chiavi di casa”, scrive Wired. E rincara: “E’ come se per legge fossero abolite le buste e i messaggi potessero viaggiare solo su cartolina”. Come conciliare dunque le due esigenze? In effetti, spesso la rete fa gola ai criminali, e sempre più numerosi sono i casi di frodi telematiche. Eppure, stando a uno studio di Doroty Denning, esperta di informatica della Georgetown University, la colpa non è dei codici utilizzati in modo doloso, ma casomai di quelli violati. I mascalzoni elettronici sono insomma più pericolosi quando riescono a forzare un programma di cifra insicuro che quando lo utilizzano per scambiarsi messaggi. Oltretutto quand’anche negli Stati Uniti fossero approvate norme più restrittive, nulla potrebbe impedire che in altri paesi studino, e si vendano, programmi di crittografia.
Insomma, la discussione infuria. E si tratta di uno dei tanti nodi di fronte ai quali la comunità internazionale si trova a dover fare i conti con l’avanzare delle nuove tecnologie. Uno dei molti nuovi scenari che solleticano forti interessi economici e di fronte ai quali la legge tradizionale è ancora sostanzialmente disarmata.