Ha solcato l’Oceano Atlantico e, probabilmente a bordo di un aereo, più di una volta è arrivata fino in Europa dove, a partire dagli anni Novanta, ha distrutto piantagioni e messo a rischio interi raccolti di mais. La turista indesiderata è la Diabrotica virgifera virgifera, il parassita che minaccia più di ogni altro le colture di mais. Per fortuna nel Vecchio Continente si è diffuso solo in zone delimitate: prima di tutto, nel 1992, nella ex-Yugoslavia da dove poi si è spostata fino ad arrivare nel nord-est dell’Italia (Veneto, provincia di Udine e Pordenone), in alcune zone della Svizzera, della Francia, del Belgio e della Gran Bretagna. Piccoli focolai che preoccupano però gli agronomi: finora del parassita si erano riuscite a disegnare le onde di espansione all’interno dell’Europa ma la sua origine rimaneva ignota; non si sapeva quindi da dove aspettarsi un prossimo attacco. Ora però un gruppo di ricercatori europei ha dimostrato la frequenza dei viaggi transoceanici della diabrotica pubblicando i suoi risultati su Science. Tra questi Lorenzo Furlan del dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali, Agripolis, di Padova a cui abbiamo rivolto qualche domanda.
Dott. Furlan, come avete fatto a capire che la diabrotica proveniva dagli Stati Uniti?
“La provenienza statunitense era in ogni caso certa in quanto la specie (Diabrotica virgifera virgifera) originaria del Centro-America, prima dei ritrovamenti in Europa, era presente con popolazioni elevate esclusivamente negli Usa. Quello che siamo riusciti a fare è separare chiaramente i diversi scenari e stabilire che nella maggior parte dei casi si è trattato di nuove invasioni, di introduzioni indipendenti dal Nord-America. Per farlo abbiamo eseguito test statistici – sia di tipo qualitativo sia quantitativo – per studiare la variabilità genetica degli esemplari raccolti. In particolare le simulazioni con il metodo quantitativo “Approximate Bayesian Computation” hanno consentito di studiare i focolai individuati secondo i diversi scenari: introduzione in serie in cui una introduzione iniziale dagli Stati Uniti ha dato origine a un secondo focolaio; introduzioni indipendenti in cui ciascuna delle popolazioni introdotte è arrivata indipendentemente dal Nord America; introduzioni indipendenti nei focolai derivanti da un unico, non individuato, diverso focolaio instauratosi in Europa sempre dal Nord America”.
Sulla base di queste simulazioni cosa avete quindi concluso?”
Che l’invasione non si è consumata una volta sola, come prima si sospettava, ma che ci sono state almeno tre introduzioni indipendenti da oltre oceano. Un dato che ci induce a pensare che si tratti di un fenomeno cronico. Pertanto la prevenzione di future invasioni dovrà essere pensata considerando punti nevralgici proprio quelli che sono stati usati già più volte per lo sbarco in Europa. Il nostro studio, infine, solleva delle questioni a proposito del possibile cambiamento delle misure di controllo o delle pratiche di trasporto che hanno in qualche modo favorito l’invasione da oltre oceano”.
Quali sono le conseguenze per il mais di un’invasione di diabrotica?
”La diabrotica rappresenta il principale problema fitosanitario per il mais negli Stati Uniti e può determinare, qualora si stabilisca su larga scala e in popolazioni elevate, un forte impatto sulla maiscoltura italiana. Determinando una riduzione non rimediabile, almeno nel breve periodo, del potenziale produttivo del mais a livello locale e nazionale; un danno economico elevato per l’agricoltore e il sistema agricolo; un aumento dell’impatto ambientale della coltura del mais che, pur difficilmente quantificabile, avrà ripercussioni economiche e sulla salute di animali e uomini”.
Come si può sconfiggere questo parassita?
”A livello europeo la strategia più efficace per evitare l’instaurarsi di popolazioni tali da causare danni economici rilevabili è la rotazione del mais con altre colture, cioè evitare di seminare per più anni di seguito sullo stesso terreno la stessa coltura”.