Massimo Bucciantini e Michele Camerota (a cura di)
Galileo Galilei
Scienza e religione. Scritti copernicani
Donzelli Editore 2009, pp. XLIX-288, euro 29,00
Il libro propone testi di Galileo ben noti agli studiosi, quali le cosiddette lettere copernicane a Benedetto Castelli, Piero Dini e Cristina di Lorena, e le meno note Considerazioni circa l’opinione copernicana, accanto a scritti di Foscarini, Bellarmino e Ingoli sullo stesso tema, nonchè la lettera di Galileo in risposta a Ingoli, prima d’ora largamente ignorata, e infine documenti significativi relativi alle vicende degli anni 1615-1616. Tutti i testi sono corredati da un ricco e illuminante apparato di note – in particolare quelle alle lettere copernicane evidenziano la straordinaria ampiezza delle fonti, antiche e contemporanee, cui Galileo attinge per convalidare le proprie argomentazioni – e si susseguono in ordine cronologico, consentendo al lettore di seguire nel suo svolgersi il dibattito tra sostenitori e oppositori del copernicanesimo e in particolare le strategie via via adottate da Galileo al fine di difendere le sue posizioni e la sua nuova visione del mondo.
Non si tratta, tuttavia, solo di un testo specialistico ma, come chiariscono fin dall’Avvertenza i due curatori, di una operazione più importante e oggi più che mai necessaria, quella di usare con sapienza i loro strumenti di storici per “attualizzare” il nostro passato, affinché gli interrogativi e i problemi di chi ci ha preceduto possano “servire a dipanare il groviglio del nostro presente”. Il tema in discussione è quello, tuttora oggetto di dibattiti e di anatemi, dei rapporti tra scienza e fede, e la conclusione a cui i curatori pervengono nel limpido saggio introduttivo – che sono ovviamente costretta a semplificare – è che una corretta lettura dei testi, sottoposti a rigoroso esame storico e filologico e analizzati nel loro contesto, evidenzia, contrariamente a quanto da più parti e per troppo tempo si è tentato di far credere, come Galileo ponesse l’accento sull’autonomia della scienza, piuttosto che su una sua concordanza con la religione. Galileo, essi scrivono, è colui che “propone con forza, e per la prima volta, l’esigenza di una fondazione autonoma della ricerca scientifica”, colui che vuole “liberare la verità scientifica da qualsiasi tipo di tutela che non sia il serrato e autonomo confronto tra ‘sensate esperienze’ e ‘certe dimostrazioni'”; e sfatano l’idea di un Galileo teologo, dimostrando che lo scienziato pisano fu costretto a cimentarsi in un campo non suo, quello dell’esegesi biblica, strumentalmente e sotto la minaccia di una imminente condanna dell’opera di Copernico.
Stabilito questo, i curatori si chiedono come, nel Novecento, da una certa parte ideologica si sia potuto presentare Galileo come “simbolo dell’unità e della perenne armonia tra scienza e fede”. Desiderio della Chiesa di rendere credibile il dialogo con la scienza contemporanea? Certamente, ma anche e soprattutto volontà ben precisa di “ridisegnare un’idea di società in cui… i princìpi della fede indichino quali obiettivi morali e quali limiti debbano essere posti alla ricerca scientifica”, la quale troverebbe così fuori da sé la sua guida morale. Ma non basta. Vari passi nel libro riportati, tratti da discorsi del cardinale Ruini e di Benedetto XVI, dimostrano come sia in corso, da parte della Chiesa, un autentico stravolgimento di termini e princìpi, quando essi sostengono, ad esempio, che una razionalità piena è solo quella che non esclude dai propri confini la religione con la sua morale. Ed io vorrei qui in proposito ricordare anche il discorso del papa, fatto leggere alla Sapienza in occasione della sua mancata visita all’Università, in cui egli giungeva ad affermare che vera scienza è la teologia, con la sua inesauribile ricerca e “col suo messaggio rivolto alla ragione”, mentre la ragione, se “diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita”; per concludere negando all’uomo la dignità di pensare in proprio, la possibilità di essere lieto senza fede, di saper agire con giustizia in base alle leggi dello stato e alla legge morale che è in lui, e giungere a stabilire di conseguenza il diritto/dovere della Chiesa di ingerirsi nel governo della cosa pubblica. Sul tema dello stravolgimento della storia, va menzionata anche la recente mostra galileiana in Santa Maria degli Angeli a Roma, i cui pannelli illustrativi (tratti da un infelice libro di Zichichi), si proponevano di propagandare l’immagine di un Galileo autentico osservante: la Chiesa era sempre affettuosamente “la Sua Chiesa”, e non vi era il minimo cenno a contrasti, persecuzioni, condanna e abiura. Il fatto è, come osserva Carlo Bernardini nel suo appassionante Incubi diurni (Editori Laterza, 2010) che “ai nostri giorni, lo scontro tra fede e scienza viene progressivamente spostato… dal piano delle conoscenze al piano dei comportamenti morali”. Piano infido, “come in tutti i casi in cui la retorica diviene lo strumento principale della contesa”.
A fronte di simili posizioni i due curatori orgogliosamente ricordano che la ragione scientifica non ha bisogno di essere guidata e purificata, che non abdica al confronto sul destino dell’uomo e dell’universo, e che “l’abbandono di ogni visione antropocentrica e finalistica, insieme all’uso pubblico della scienza e all’universalismo delle scoperte, sono certamente alcune delle principali caratteristiche morali della rivoluzione galileiana e darwiniana”.
Testo prezioso quindi, questo Scienza e Religione, per la sua capacità di coniugare molteplici motivi di interesse per lo studioso con quella di coinvolgere chiunque abbia a cuore le problematiche del nostro presente. E incontestabili, direi, le argomentazioni di Bucciantini e Camerota, se non sapessi che esse difficilmente persuaderanno coloro che, per ingenuità, ignoranza o calcolo, hanno abdicato all’utilizzo della ragione.