Per la prima volta nei primati, un gruppo di ricerca è riuscito a ottenere linee di cellule staminali embrionali attraverso la tecnica della clonazione. È questo il risultato dello studio di Shoukhrat Mitalipov (riportato in anteprima da The Indipendent e ripreso poi dai quotidiani), che sarà pubblicato questa settimana su Nature.
L’equipe dell’Oregon National Primate Research Center (Onprc), in Usa, ha iniettato il nucleo di una cellula del tessuto connettivo di un macaco rhesus (Macaca mulatta) all’interno di un ovulo (prelevato da un altro macaco) il cui nucleo era stato precedentemente rimosso (tecnica nota con il nome di trasferimento nucleare di cellule somatiche). La cellula così “assemblata” (o embrione clonato) ha quindi cominciato a dividersi fino a formare un ammasso di cellule chiamato blastociste, da cui i biologi hanno prelevato le singole cellule staminali per poterle coltivare in vitro.
I ricercatori sono riusciti a ottenere due linee di cellule staminali su 304 tentativi (ovvero eseguendo il trasferimento nucleare in 304 ovuli prelevati da 14 macachi femmine), con un tasso di successo, quindi, dello 0,7 per cento. Sebbene la clonazione di embrioni (sia a scopo terapeutico che riproduttivo) sia stata eseguita per molte specie animali, questa è la prima volta che si ottengono dei risultati per i primati. Inoltre, la coltivazione in vitro di cellule staminali embrionali era stata ottenuta finora solo per i topi. Nessuno ha mai avuto successo nel coltivare cellule staminali umane ottenute con questa tecnica. L’unico che sembrava esservi riuscito è lo scienziato sud coreano Woo Suk Hwang, ma la sua si è poi rivelata una delle più grandi frodi scientifiche del nostro tempo. Per evitare che la storia si ripetesse, una ricerca indipendente ha eseguito una validazione sperimentale dello studio di Mitalipov: David Cram del Monash Institute of Reproduction and Development (Australia) ha confermato che le cellule sono state realmente prodotte attraverso la clonazione e il suo rapporto sarà pubblicato on linee insieme allo studio.
Disporre di cellule staminali embrionali che hanno lo stesso corredo genomico dell’adulto (paziente-specifiche) permetterebbe di trattare varie patologie o danni al midollo spinale, senza avere problemi di rigetto. Ma tale applicazione è ancora remota. Meno difficile da immaginare, invece, il loro potenziale ruolo per comprendere la base genetica di alcune malattie, tema affrontato nella News&Views di Ian Wilmut e Jane Taylor del Scottish Centre for Regenerative Medicine (Scrm) che accompagnerà l’articolo: “Nella fretta di utilizzare queste cellule per le terapie, tendiamo a non vedere il loro grande potenziale per la ricerca di base”, scrivono gli autori, “per esempio per studiare le malattie ereditarie”. (t.m.)