Giorgio Bert
Andrea Gardini
Silvana Quadrino
Slow Medicine. Perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile, Sperling&Kupfer, pp.260, euro 17,00
Il richiamo a Slow Food è voluto. L’associazione Slow Medicine condivide infatti con il ben noto movimento che elogia la lentezza in ambito alimentare la stessa visione del mondo simboleggiata, anche in questo caso, da una eloquente lumaca. Perché in campo sanitario, sostengono i tre autori del libro–manifesto “Slow medicine, perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile”, è arrivato il momento di togliere il piede dall’acceleratore, fermarsi a riflettere sulla direzione in cui si vuole andare e continuare il viaggio a velocità molto ridotta.
E, se in cucina “slow” si traduce nella ricerca di un cibo, buono, pulito e giusto, come spiega nella prefazione lo stesso fondatore di Slow Food Carlo Petrini, tra le corsie degli ospedali e negli studi medici “slow” vuol dire innanzitutto dare un nuovo volto alla medicina. Cancellando quei difetti invisi a tanti pazienti: l’abuso della tecnologia che riduce all’osso il rapporto umano durante la cura, la mancanza di informazione, un ricorso eccessivo a esami diagnostici inutili. Nel cahiers du doléance di Bert, Giardini e Quadrino (medici i primi due e pedagogista il terzo) finiscono, in sostanza, le storture di un sistema che, secondo i dati dell’OCSE è tra i più sicuri e i più efficaci del mondo, ma che scende agli ultimi posti se la classifica viene condotta da un’altra prospettiva, quella dei pazienti.
Il paradosso, messo in evidenza da una ricerca dell’Euro Health Consumer Index, si può sintetizzare così: in Italia un paziente riesce a ottenere cure adeguate ma non il rispetto dei propri diritti.
Ecco le aberrazioni della nostra sanità che andrebbero corrette: “la medicalizzazione della vita quotidiana, il ricorso a farmaci e cure di non provata efficacia , l’accanimento preventivo, l’esclusione e le diseguaglianze nell’accesso alle cure, l’illegalità e la corruzione, l’aziendalizzazione selvaggia della sanità, l’orientamento della ricerca in base a ragioni puramebte economiche, la conflittualità fra paziente e sanitari (accuse di malasanità, medicina difensiva), la moltiplicazione di malattie inventate (disease mongering, “vendere malattie”), la convinzione che fare di più significhi fare meglio”.
Il cambiamento che Slow Medicine propone è quindi teorico e pratico allo stesso tempo. A un nuovo paradigma filosofico basato sul principio che una maggiore quantità non implica una migliore qualità fa eco una nuova prassi medica: evitare, per esempio, i tanti test diagnostici inutili (nel libro viene dedicato un capitolo al caso del PSA). Nel caso in cui ve ne fosse bisogno, ci sentiamo di chiarire che parlando di modello “slow” in medicina non si fa astratta “filosofia”, non si indugia in disquisizioni teoretiche, ma si propongono concreti e necessari cambiamenti. Per dirla con Richard Smith direttore per molti anni del British Medical Journal: “La slow medicine ci appare come il miglior tipo di medicina che possiamo aspettarci per il ventunesimo secolo”.