È polemica a Palermo per un trapianto di rene. Lo scorso luglio Ignazio Marino, direttore dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie, eseguiva l’intervento su un ragazzo di 20 anni sieropositivo. A donare l’organo era il padre. Una forte censura su quanto è accaduto all’Ismett è venuta in questi giorni dal Ministero della Sanità, o meglio dal Centro nazionale trapianti (organo ministeriale). Nella lettera inviata a Marino, Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro, affermava, fra l’altro, che il trapianto eseguito a Palermo, ‘’ha tutte le caratteristiche di sperimentazione clinica: deve avere pertanto l’autorizzazione ufficiale di un comitato etico e del Consiglio superiore di sanità‘’, e che ‘’la più recente letteratura scientifica trapiantologica sull’argomento mette in serio dubbio l’opportunità di praticare in un paziente sieropositivo un trapianto che non sia salvavita, menzionando il trapianto di rene come intervento dal quale e’ consigliato astenersi’’. Alle critiche risponde prontamente Ignazio Marino, in questi giorni a Genova dove partecipa al congresso della Società italiana trapianti d’organo: ‘’la comunità scientifica si e’ espressa in termini positivi per proseguire sulla strada del trapianto in soggetti Hiv positivi. Andremo avanti seguendo protocolli terapeutici rigidi e controllati nella massima collaborazione con tutti i centri’’. L’attualità del tema è tale da essere argomento di discussione proprio a Genova. Dove è stata presentata la casistica mondiale sui trapianti a sieropositivi, eseguiti con lo stesso protocollo utilizzato dall’Ismett, e i progressi scientifici degli ultimi anni nel campo dei farmaci retrovirali e della terapia immunosoppressiva.
‘’E’ assurdo sollevare polemiche: ci troviamo davanti a un padre che ha donato, in vita, un organo al proprio figlio. Non vedo dove sta il problema etico. Ognuno di noi è libero di aiutare chi vuole”, afferma Ermelando Vinicio Cosmi, presidente della commissione di bioetica del Cnr. Che va avanti in maniera decisa: “Non e’ possibile alcuna discriminazione, nessuno può arrogarsi il diritto di escludere da un trapianto d’organo un sieropositivo o, comunque, un soggetto affetto da patologie che riducono le probabilità di sopravvivenza’’. Più cauto ma, tuttavia, d’accordo a non fare discriminazioni, Giovanni Berlinguer, presidente del Comitato nazionale di bioetica. ‘’Non conosco nei particolari il caso di Palermo”, afferma, “ma, più in generale, posso affermare che non mi sentirei di escludere dai trapianti di organi soggetti sieropositivi all’Hiv’’.
Si pone invece su una via mediana Giuseppe Remuzzi, coordinatore a Bergamo delle attività di ricerca dell’Istituto ‘’Mario Negri’‘, e nonché responsabile del dipartimento di immunologia e trapianti di organi degli Ospedali riuniti: ‘’Ritengo doveroso aprire un dibattito su ostacoli e opportunità, un dibattito che coinvolga tutti, dai pazienti ai medici, dai responsabili della Sanità e i coordinatori dei centri per i trapianti al pubblico’’. In linea generale Remuzzi ritiene che i sieropositivi ‘’non dovrebbero essere esclusi per principio’’. La mancanza di un dibattito ‘’rischia di avallare gli atteggiamenti differenti dei medici nei vari centri’’. Negli Stati Uniti, ‘’fino a tre anni fa la comunità scientifica era contraria al trapianto di organi in soggetti sieropositivi all’Hiv. Una scelta basata sul fatto che sottoporre un sieropositivo a trapianto e a una terapia immunosopressiva (per evitare il rigetto, ndr) era considerata pericolosa per lo stesso ricevente. Adesso però si deve tener conto dell’evoluzione farmacologica: oggi ci sono farmaci molto più attivi per curare l’Aids e la mortalità si è ridotta’’.