Nella casa dei Casti amanti

“Quando Carlo di Borbone lasciò Napoli per assumere la corona di Spagna, volle togliersi dal dito l’anello da lui stesso trovato tra gli scavi: tutto ciò che a Pompei appartiene a Pompei deve rimanere”. Antonio Varone della Soprintendenza archeologica di Pompei racconta questo aneddoto mentre percorriamo i nuovi itinerari sui luoghi della città scoperti nel ‘700. Per raggiungere il luogo dove lui stesso, oggi, sta scavando e ottenendo risultati di grande rilievo, come la definizione delle diverse fasi della catastrofe che nel 79 d.C. decretò la fine della città. Sempre nel rispetto, a 250 anni di distanza e con l’ausilio delle tecnologie più moderne, del principio del buon re Carlo: conservare tutto, anche il più piccolo indizio, come si è presentato agli occhi dell’archeologo. Perché risulti poi percepibile anche al visitatore e sia di documentazione per eventuali ricerche future.

La casa dei Casti amanti, situata lungo la centralissima via dell’Abbondanza, si visita dall’alto. Lo faranno in futuro i turisti, grazie a passerelle che Varone vorrebbe realizzare per evitare che si calpestino i pavimenti dell’abitazione. Lo facciamo noi ora, percorrendo i ponteggi che gli ingegneri hanno realizzato per sospendere dall’alto le strutture, agganciandole alla copertura del cantiere. “In assenza di puntelli o sostegni dal suolo, si potrà in seguito scavare sotto l’abitazione senza danneggiare ciò che è stato sinora messo in luce”, spiega Varone. Ma le audaci scelte tecniche degli ingegneri hanno consentito anche di conservare, esattamente come è stato rinvenuto, un pavimento del secondo piano della casa adagiatosi sui materiali vulcanici che avevano “riempito” le stanze al piano inferiore. Sugli stessi materiali vulcanici si era posata anche la parte superiore di un tramezzo, che ora noi vediamo sospesa in aria, a tre metri dal suolo e a poco più di un metro dalla sua parte inferiore. “E’ la prova che ci sono state scosse sismiche immediatamente dopo l’eruzione”, continua Varone. “Solo un terremoto può averla fatta ‘traslare’ così, e il riempimento di materiali vulcanici l’ha mantenuta in posizione verticale”.

La casa era un panificio “industriale”, a giudicare dalle dimensioni delle macine, dell’impastatrice (ebbene sì, l’antenato della PastaMatic) e del forno. E la loro disposizione nel laboratorio rivela un’intelligente organizzazione del lavoro “a catena di montaggio”. Ma il panificio possedeva anche una sala per banchetti, riccamente decorata con immagini di banchettanti ebbri che, in un caso, si scambiano un “casto” (in confronto con altre ben più licenziose pitture pompeiane) bacio. In un angolo di questa stanza vi è un mucchio di calce. “Le pareti stavano per essere imbiancate, restaurate a seguito di una scossa di terremoto che ha preceduto forse di alcuni giorni l’eruzione, come dice del resto chiaramente Plinio”, è la conclusione di Varone. Che, a prova di questo primo terremoto, ci mostra anche le fosse settiche sulla via che delimita l’abitazione, trovate con i tombini tutti aperti e la terra, verosimilmente appena estratta, ancora lungo la strada. “Solo una scossa sismica può averle riempite tutte assieme”, spiega. “E il fatto che siano aperte dimostra che i lavori di svuotamento erano in corso”.

I rinvenimenti eclatanti nella casa non sono mancati, come la statua-fontana in marmo che raffigura un bambino accovacciato accanto a un delfino, o un corredo da toeletta per signora, o le pitture murali. Ma è stata la lettura attenta e sistematicamente ricercata del contesto di scavo a condurre ai risultati più interessanti e innovativi. Che sono giunti, grazie a una stretta collaborazione tra archeologi e vulcanologi, a determinare la successione e le modalità delle fasi eruttive e gli effetti provocati da ciascuna di esse.

Lo scavo stratigrafico effettuato all’interno di una massa di materiali vulcanici nel vicolo a ovest dell’isolato ha permesso di capire come una violentissima pioggia di lapilli (che, continuata per tutto il 24 agosto, ha fatto crollare non pochi edifici) è stata seguita, la mattina dopo, quando i sopravvissuti credevano di essere oramai in salvo, dalla discesa in pianura delle cosiddette “nubi ardenti” (o, tecnicamente, surges), masse di ceneri finissime e detriti che privano gli esseri viventi della possibilità di respirare. L’ecatombe fu allora totale, e il surge successivo, il più impetuoso, poté solo abbattere muri con inusitata violenza. Avanzava a una velocità tra i 65 e gli 80 km/h, come hanno rivelato gli studi sul rapporto tra la caduta di un muro nel vicolo e la quantità di cinerite che, prima dell’impatto con il muro, si era insinuata nel vicolo stesso. “Quando la casa sarà aperta al pubblico”, conclude Varone, “tutti potranno finalmente vivere l’emozione di comprendere cosa accadde esattamente nei due giorni ‘fatidici’ di Pompei”.

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