I campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, possono costituire un rischio per la salute umana. Per questo molti esperti credono che non si debba abbassare la guardia, ma continuare a cercare prove di una loro interazione con la materia vivente E’ questo l’intento del programma strategico di ricerca “Cancerogenesi ambientale e inquinamento elettromagnetico: progetto strategico, dalla biointerazione alla epidemiologia” portato avanti da Livio Giuliani, dirigente di ricerca e direttore del Dipartimento Ispesl (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) di Venezia con la partecipazione di altri istituti di ricerca italiani e internazionali. Peccato che, finanziato nel 1998 quando il Ministero della Salute inserì il tema dell’inquinamento elettromagnetico nel Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, il progetto sia rimasto a corto di finanziamenti già nel 2001 e ora rischi di non poter usufruire dei prossimi stanziamenti. Così l’11 ottobre il progetto sarà presentato da Felice Casson, senatore dell’Ulivo, durante una conferenza stampa in Senato in cui sarà annunciato anche il ddl “Interventi urgenti per la ricerca pubblica sanitaria e ambientale”.
“Diversi studi in passato hanno evidenziato i rischi legati all’esposizione ai campi elettromagnetici. Nel 2001, in base a evidenze epidemiologiche, l’Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro (Iarc) ha classificato i campi di induzione magnetica a frequenza industriale, associati a esposizioni a carattere residenziale superiori alla soglia di 0,4 ?T, come ‘possibili cancerogeni’”, spiega Livio Giuliani. “Per quanto riguarda i campi elettromagnetici a frequenza radio e di microonda (Rf/Mw), diversi studi epidemiologici di ricercatori inglesi, asiatici e australiani, hanno messo in evidenza una possibile associazione tra esposizione e aumentata insorgenza tumorale nei residenti in prossimità di torri di radiofrequenza”. E’ il caso di uno studio svolto aI Karolinska Institutet per conto dell’Iarc, che ha correlato l’esposizione ultradecennale di un lato del cranio alle microonde del terminale telefonico con una aumentata insorgenza del neurinoma del nervo acustico.
Ma se le indicazioni epidemiologiche dell’associazione tra carcinogenesi e inquinamento elettromagnetico sono diverse, mancano conoscenze sufficienti sul possibile meccanismo di induzione del tumore da parte del campo magnetico o elettromagnetico. E come se non bastasse, una commissione di esperti nominata per l’inquinamento elettromagnetico dal Ministro della Salute, nella passata legislazione, ha proposto l’abbandono del principio di precauzione e un innalzamento di cento volte dei limiti di esposizione della popolazione vigenti.
“Il nostro progetto è strategico per la prevenzione dell’oncogenesi. Si basa su più filoni di ricerca, alcuni dei quali hanno già portato a pubblicazioni di rilievo. Per esempio, il lavoro dei ricercatori dell’Infn pubblicato nel 2002 ha spiegato, nel quadro della elettrodinamica quantistica, l’esperimento del russo Mikhail Zhadin del 1998, secondo il quale deboli campi magnetici variabili, in presenza del campo magnetico terrestre, possono interagire con i nuclei cellulari”, continua Giuliani. “Abbiamo messo a punto anche un brevetto congiunto di Cnr e Ispesl che permette la replicazione non randomica dell’esperimento e la conferma dell’effetto Zhadin”.
Non solo. Nel progetto ci sono le ricerche dal Cnr-Inmm (Istituto di neurobiologia e medicina molecolare) sugli effetti in vitro dei campi elettromagnetici; quelle della Fondazione “Bernardo Ramazzini” sugli effetti in vivo; gli studi del Cnr- Itoi (Istituto per i trapianti d’organo e immunocitologia) sulle connessioni tra esposizione e apoptosi in vitro; e quelle in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia dell’Università La Sapienza, finalizzate a capire come i campi agiscono sulla differenziazione di cellule primarie multipotenti umane.
“Con la gara per l’Umts nel 2001 il governo aveva deciso di stanziare l’1 per cento alla ricerca sulle microonde, per un valore di 267 miliardi lire. Invece una buona parte di quei soldi sono stati dirottati altrove”, conclude Giuliani. “Per di più il 20 settembre il nostro progetto non è stato presentato al Ministero della Salute per riottenere i finanziamenti per volontà degli organi amministrativi dell’Ispesl. Credo che i finanziamenti per la ricerca pubblica, in materia di prevenzione e ambiente, debbano essere indirizzati alle ricerche ideate e promosse dai ricercatori medesimi, non dagli organi amministrativi degli Istituti e degli Enti, e selezionate con trasparenza. Perché se è vero che l’epidemiologia indica una debole possibile cancerogenicità (1-2 casi su 100 mila), se venisse confermata a livello globale sarebbe un problema sanitario molto grave”.