Ogm inarrestabili

Una battaglia persa. Difendere le produzioni tipiche dall’omologazione, motivo per cui all’inizio del mese di luglio la Regione Piemonte ha deciso di distruggere 400 ettari di mais transgenico cresciuti illegalmente, appare infatti sempre più difficile. Se non impossibile. La contaminazione sembra inevitabile, nonostante le assicurazioni delle multinazionali. “E’ successo già in Messico nonostante una moratoria ufficiale fosse in atto già dal 1998. E in Canada dove in un test su 33 campioni di sementi certificate, in ben 32 sono stati riscontrati alti livelli di contaminazione”, affermano gli scienziati indipendenti, tra cui Mae-Wan Ho, riuniti nell’Independet Science Panel nell’ultimo loro documento “A GM-free Sustainable World”.

Una situazione che non può che peggiorare, anche a giudicare dall’ultimo rapporto dell’Environmental Protection Agency. Secondo l’agenzia statunitense circa un quinto degli agricoltori statunitensi ignora le leggi federali sul limite di ettari di piantagioni transgeniche. In particolare sotto accusa sono i campi di mais Bt, ingegnerizzato in modo da autoprodurre un insetticida. Gli agricoltori che lo piantano dovrebbero garantire che il 20 per cento delle loro terre sia coperto da varietà non Gm, una specie di cintura di sicurezza. Ma non tutti lo fanno. L’anno scorso almeno 19 per cento degli agricoltori dell’Iowa, Minnesota e Nebraska ha infatti trasgredito la legge.

E l’Europa, l’ultima roccaforte del “tradizionale”, può davvero resistere agli attacchi dell’ingegneria genetica? Le speranze sono flebili. Basta guardare le cifre. Nel 2002 – secondo il Rapporto annuale sulla commercializzazione delle sementi Gm messo a punto dall’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications, un gruppo di ricerca biotech no-profit – sono stati 58.700.000 gli ettari coltivati nel mondo con sementi Gm da una schiera di circa 6 milioni di agricoltori in 16 paesi diversi.

L’aumento rispetto al 2001 è pari al 12 per cento, con una crescita annua dal 1996 a oggi del 10 per cento. In questi 7 anni l’area totale coltivata a Ogm è aumentata di 35 volte. Il 99 per cento della produzione di sementi ingegnerizzate è coltivata in 4 paesi: Stati Uniti, Argentina, Canada e Cina. Più di un quarto dei campi si trovano nei paesi in via di sviluppo (circa 16 milioni di ettari). La soia occupa il 62 per cento del terreno, seguita dal mais con il 21 per cento. Nel 2002 si è inoltre consumato il sorpasso: per la prima volta la soia Gm coltivata nel mondo ha superato quella tradizionale.

Al di là dei toni trionfalistici del rapporto, il cerchio intorno a quanti si oppongono al geneticamente modificato sembra davvero stringersiC’è quindi da preoccuparsi? “No, introdurre variabilità genetica è una pratica vecchia almeno 150 anni”, rispondono i fautori degli Ogm. L’allarme però cresce intorno al metodo con cui può venire spinta la selezione del carattere che interessava attribuire alla pianta. “Con gli incroci tradizionali infatti si impiegano anni e anni per osservare il passaggio del gene nelle generazioni successive a quelle manipolate”, spiega Enrico Porceddu, ordinario di genetica agraria all’Università della Tuscia di Viterbo.

Una spesa troppo alta che è stata azzerata dalla possibilità di inserire solo il gene che interessa e di farlo in modo molto preciso. Basta abbinarlo a un altro pezzetto di Dna, per esempio quello che rende la pianta resistente a un antibiotico. Una volta eseguita l’operazione si sparge l’agente tossico in questione su tutta la popolazione di laboratorio selezionando così solo gli esemplari che hanno nel loro corredo genetico la resistenza e quindi anche il carattere abbinato. “In questo modo però nella pianta rimaneva anche il gene per la resistenza all’antibiotico e questo era fonte di preoccupazione”, conferma Porceddu.

Ma la direttiva 18 del 2001 dell’Unione europea obbliga i produttori di Ogm a levare i geni spia inseriti per selezionare le varietà. Pericolo scampato quindi. Ma rimane lo spettro della contaminazione ambientale. La genetica molecolare consente anche lo scambio di geni fra organismi vegetali sessualmente incompatibili, nonché l’introduzione di porzioni di Dna di origine batterica o realizzati direttamente in laboratorio nelle piante da modificare. “Questi geni possono passare nell’ambiente, e arrivare alle erbacce o ad altre piantagioni rendendo anch’esse resistenti”, osserva il genetista.

Potrebbe quindi succedere nell’ambiente ciò che è già accaduto tra gli umani: la selezione di batteri sempre più aggressivi per i quali sarà poi indispensabile elaborare nuove sostanze tossiche, innescando così un circolo vizioso. E ancora. “Per rendere le sementi resistenti o per rafforzarle con elementi a loro estranei si introducono nel Dna delle piante geni capaci di produrre le sostanze volute. Ma ciò che può essere nocivo per un insetto non è detto che non lo sia anche per gli umani. Di più. Se a essere introdotte sono sostanze curative l’eventuale incrocio di quella varietà con altre potrebbe portare alla diffusione incontrollata di sementi in grado, per esempio, di sopprimere il sistema immunitario”, ammoniscono ancora gli scienziati indipendenti.

Proprio questi argomenti saranno al centro della giornata del 15 luglio del meeting di San Rossore, l’appuntamento annuale che la Regione Toscana organizza per discutere di cibo, ambiente e “idee e azioni per la pace”. In quell’occasione Vandana Shiva, scienziata indiana presidente della Commissione internazionale sul cibo, presenterà un’iniziativa a sostegno di quegli agricoltori che nel mondo sono i custodi delle coltivazioni tradizionali.

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