Paese che vai, microbi che trovi. A sostenerlo è un lavoro di un’équipe di ricercatori della Northern Arizona University di Flagstaff , pubblicato sull’American Society for Microbiology, che ha permesso di comprendere il meccanismo che regola la composizione dei microbi negli ambienti urbani, evidenziando inoltre come la pelle umana svolga un ruolo importante in questo processo. “Abbiamo il sospetto che i microbi possono essere passivamente accumulati sulle superfici degli uffici, piuttosto che attuare un processo attivo”, spiega J. Gregory Caporaso, uno degli autori dello studio. “Per migliorare la nostra comprensione della microbiologia negli ambienti urbani abbiamo monitorato le comunità microbiche per registrare le modifiche che possono influenzare la salute umana”.
Per capire come i microbi si stabiliscono nell’ambiente urbano nel corso del tempo, Caporaso e il suo team hanno monitorato, nel corso di un anno, tre uffici in di Flagstaff, San Diego e Toronto. In ogni ufficio sono state installate tre piastre di prelievo, una sul pavimento, una sul soffitto e una sulla parete, dotate di due o tre campioni di cartongesso, piastrelle e moquette, e di sensori che hanno permesso di registrare alcuni parametri dell’ambiente come l’umidità, la luce e la temperatura. In seguito il team si è servito di tecniche di laboratorio come il 16S rRNA gene sequencing e ITS-1 per identificare le comunità batteriche presenti in ciascun campione.
Dai risultati è emerso che il pavimento, a prescindere dal materiale da cui era rivestito, presentava più microbi rispetto alle superfici della parete e del soffitto, e che tra gli uffici esaminati ogni città aveva la propria comunità microbica. “Il nostro lavoro è stato particolarmente interessante perché anche all’interno di ogni città gli uffici differivano gli uni dagli altri per dimensioni e sistemi di ventilazione”, spiega Caporaso, “suggerendo che la geografia è più importante di qualsiasi di queste caratteristiche”. Gli uffici di Flagstaff, infatti, avevano comunità microbiche diverse rispetto a quelle di San Diego e Toronto, che erano, invece, più simili tra loro. Infine, per verificare se il corpo umano potesse giocare un ruolo chiave nella presenza delle comunità di microbi osservate negli uffici, i ricercatori hanno esaminato la pelle degli impiegati di tutti e nove gli uffici coinvolti nello studio. Scoprendo così che i responsabili siamo anche noi: la cute, infatti, contribuisce per il 30% circa alle popolazioni batteriche che vivono sulle superfici degli uffici.