È ricchissima di vitamina A ed E. Si tratta di un nuova patata ogm (o patata dorata) figlia di un team di ricercatori italiani dell’Enea alla Casaccia (Roma), guidati dai Giovanni Giuliano, in collaborazione con il Consiglio per le ricerche agricole ed economiche (Crea) di Bologna e dell’Ohio State University. Lo studio, pubblicato su Plos One e finanziato dal ministero delle Politiche agricole e Commissione Europea ha dimostrato che la patata, di un colere giallo vivo, per la presenza di 3 geni di un batterio, Erwinia herbicola, sarebbe in grado di conservare le due vitamine inalterate anche durante la cottura.
Per dimostrarlo, il team di ricercatori ha svolto alcuni esperimenti, servendosi di un simulatore dell’apparato digestivo umano, provvisto di bocca, stomaco e un piccolo intestino. La patata ogm, come spiegano i ricercatori, potrebbe essere uno strumento utile per combattere le malattie legate alla carenza di vitamine, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, come per esempio la cecità. “La patata è la principale fonte di energia per più di 800mila persone, e molte di queste non consumano quantità adeguate di nutrienti fondamentali”, spiega Mark Failla, dell’Ohio State University. “Queste patate d’oro hanno molto più vitamina A e vitamina E rispetto alle patate bianche e ciò potrebbe fare una differenza significativa in alcune popolazioni dove le carenze di vitamine e le malattie correlate a queste carenze sono molto comuni”.
Più nel dettaglio, lo studio ha scoperto che una porzione da 150 grammi della nuova patata ha il potenziale di offrire a un bambino il 42% del fabbisogno giornaliero di vitamina A e il 34% di quello di vitamina E. Mentre alle donne, sempre la stessa porzione, fornisce il 15% e il 17% della quantità raccomandata, rispettivamente di vitamina A ed E.
Per riuscire a creare la nuova patata, il team di ricercatori è partito da una varietà molto comune, la Desirée, che ha un basso contenuto di carotenoidi, ossia i precursori della vitamina A. Poi, hanno inserito nel dna i geni del batterio Erwinia herbicola, un batterio non pericoloso per l’uomo, che hanno così permesso di aumentare i livelli delle due vitamine all’interno della polpa. “E’ stata una piacevole sorpresa”, riferisce all’Ansa Giuliano, “in quanto i geni che abbiamo introdotto erano finalizzati solo ad aumentare il beta carotene”. Inoltre, come precisa l’autore dello studio, la scelta di un batterio è dovuta a ragioni di semplicità: “i batteri riescono a fare le stesse cose con molti meno geni rispetto alle piante. Se avessimo usato geni di carota, per sintetizzare il beta-carotene ci sarebbero voluti 6 geni invece di 3”.
Via: Wired.it