Guida notturna, guida pericolosa: la falsa percezione della velocità ci fa accelerare

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Guidare di notte, con i fari delle altre auto che si disperdono in mille flash sul vetro appannato, è stressante anche per chi ha la vista buona. E questo perché gli oggetti ai lati della strada appaiono privi di colori, senza contrasto, dai contorni sfumati. Ora, un gruppo di ricercatori tedeschi del Max Planck Institut, guidati da Karl R. Gegenfurtner, rivela su Nature che la visione notturna dà anche dei problemi nella percezione degli oggetti in movimento, che appaiono più lenti del reale. Non solo, avvertono gli studiosi: la percezione falsata dei movimenti rimane anche quando parte della strada è ben illuminata dai fari dell’automobile, e quindi contribuisce a rendere pericolosa la guida notturna.

La vista, dall’occhio al cervello

Per capire il lavoro dei ricercatori tedeschi, bisogna ricordare che come tutti gli altri sensi, anche la visione consiste essenzialmente nella ricezione di stimoli esterni e nella loro trasformazione in impulsi nervosi, che vengono a loro volta trasmessi al cervello. Che li interpreta e li utilizza per costruire l’immagine che ciascuno di noi ha del mondo circostante. Nel caso della vista, lo stimolo esterno è la luce, emessa o riflessa dagli oggetti: questa entra nell’occhio dalla pupilla e immediatamente attraversa il cristallino, una lente fisiologica che ha il compito di mettere a fuoco l’immagine, incurvandosi se gli oggetti sono vicini o appiattendosi se sono più lontani. L’immagine focalizzata viene quindi proiettata sulla retina, che la registra come farebbe una pellicola fotografica. Proprio qui gli stimoli luminosi vengono trasformati in impulsi nervosi. Questi poi, attraverso i nervi ottici, vengono inviati nella parte posteriore del cervello che ospita la corteccia striata, cioè la zona dove avviene la prima elaborazione dei dati che provengono dagli occhi.

La corteccia striata è facilmente ingannabile. Un colpo alla nuca, per esempio, può attivare alcune delle sue cellule nervose, proprio come farebbe uno stimolo luminoso. Ecco perché in caso di trauma si ha l’impressione di “vedere le stelle”, sebbene gli occhi non abbiano registrato nulla del genere. L’elaborazione definitiva dell’immagine avviene infine in altre zone della corteccia cerebrale, in particolare in quelle laterali.

Colori, luci e ombre

Ma come può la retina trasformare gli impulsi luminosi in segnali nervosi?

La retina è formata da due diversi tipi di cellule: i coni e i bastoncelli. I primi sono circa 6,5 milioni, sono specializzati nel vedere i colori ma sono attivi quando la luminosità è intensa. I bastoncelli sono invece 125 milioni, e sono sensibili anche se la luce è scarsa, però, diversamente dai coni, forniscono immagini sfumate, e non sono in grado di riconoscere i colori. Ecco perché di notte tutto appare in bianco e nero, e i “gatti sono tutti grigi”.

La trasformazione di segnali luminosi in impulsi nervosi è mediata da un processo chimico. Sia i coni che i bastoncelli, infatti, contengono molecole derivate dalla vitamina A, che si scindono quando vengono colpite da un raggio luminoso. In questo modo generano un impulso elettrico: lo stimolo che fa entrare in attività i neuroni del nervo ottico.

Esistono tre tipi diversi di coni: sensibili al rosso, al verde o al blu, a seconda del tipo di molecola fotosensibile che contengono. Tutte le sfumature percepibili dall’occhio umano derivano da diverse combinazioni di questi tre colori primari. La maggior parte delle persone riesce a distinguere 150-200 colori, ma ci sono alcune eccezioni. I daltonici, per esempio, hanno difficoltà a distinguere alcune sfumature perché non possiedono abbastanza coni sensibili alla luce verde e blu. I bastoncelli invece sono di un solo tipo e la molecola che contengono si scinde se è colpita dalla luce, qualunque sia il suo colore e la sua intensità.

Dato che le molecole fotosensibili vengono scisse quando sono colpite dalla luce, devono essere continuamente rimpiazzate. Questo fenomeno è evidente quando si passa da un luogo molto luminoso a uno quasi buio. La luce intensa, infatti, scinde tutte le molecole fotosensibili presenti nei bastoncelli. Passando nell’ambiente scuro, inizialmente non si vede nulla, perché nei bastoncelli le molecole disponibili sono state esaurite e la luce non è sufficiente per attivare i coni. Con il passare del tempo, però, le molecole fotosensibili si riformano, i bastoncelli tornano in funzione e gli oggetti diventano riconoscibili. Tuttavia, una visione affidata unicamente ai bastoncelli presenta dei grossi limiti, come ha confermato il recente studio tedesco.

La falsa percezione della velocità

I ricercatori hanno preso in considerazione alcune persone che presentavano una deficienza dei coni deputati a vedere il verde, quindi una cecità per questo colore. A queste è stato mostrato uno schermo con oggetti in movimento alternativamente rossi, blu e verdi. I coni di questi pazienti venivano stimolati dai primi due, mentre la visione dei terzi era affidata unicamente ai bastoncelli. I risultati sono stati chiari: gli osservatori avevano l’illusione che la velocità degli oggetti recepiti dai bastoncelli fosse solo il 75% di quella rivelata dai coni. Come si può spiegare questa differenza di prestazioni? La prima ipotesi era che il cervello analizzasse in modo diverso le immagini fornite dai due tipi di cellule, ma si è dimostrata infondata. Infatti un altro controllo ha dimostrato come le immagini diano l’impressione di muoversi in modo più veloce se spiccano molto evidentemente rispetto al loro sfondo, indipendentemente dal fatto che vengano recepite dai coni o dai bastoncelli. Dunque l’area della corteccia deputata ad analizzare la velocità degli oggetti deve essere unica per entrambi i tipi cellulari.

Scartata la responsabilità del cervello, la principale imputata è diventata la retina stessa, o meglio il modo con cui essa trasmette messaggi alle cellule nervose. Infatti è sufficiente che un solo cono venga stimolato perché si attivi una cellula nervosa, mentre ci vogliono cinque bastoncelli per raggiungere lo stesso scopo. Dunque il tempo di reazione a un’immagine registrata da questi ultimi è più lento di quello relativo a un’immagine registrata dai coni. Ciò probabilmente influenza la velocità che viene attribuita agli oggetti dal cervello.

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Dal punto di vista pratico, l’equilibrio tra gli efficienti, veloci ma poco sensibili coni, e i più torpidi ma sensibilissimi bastoncelli si è rivelato ottimale nell’evoluzione della specie umana. Infatti ci consente un’ottima visione durante le ore diurne, cioè quelle dell’attività, e una discreta visione d’emergenza durante quelle notturne, normalmente dedicate al riposo. Ma solo da pochi decenni guidiamo di notte, e per questa attività non siamo stati sottoposti a nessuna lunga selezione naturale.

La guida notturna preoccupa particolarmente gli scienziati: guidando di notte la parte di fronte alla macchina è spesso ben illuminata dai fari, quindi viene processata prevalentemente dai coni. Non così quella laterale, che è affidata unicamente ai bastoncelli. Infatti i bordi della strada sono generalmente oscuri, cosa che si aggiunge al fatto che i coni sono concentrati soprattutto nella zona deputata a guardare frontalmente e divengono più rari ai confini della retina. Ma è proprio la velocità con cui gli oggetti ai bordi della strada ci passano accanto a darci la misura della nostra andatura: ecco perché di notte pensiamo di viaggiare più lentamente che di giorno. E quindi molti hanno la tentazione di recuperare l’andatura abituale, premendo pericolosamente sull’acceleratore.

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