La notizia è arrivata qualche giorno fa: uno studio pubblicato sul Journal of Cleaner Production da un gruppo di ricercatori dell’Università di Wageningen sancisce il fallimento in Europa del programma Climate-smart agriculture (Csa) proposto dalla Fao nel 2010. Una sentenza che arriva nell’anno internazionale dei suoli e quando l’Italia ospita l’Expo che punta tutto su “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Prima di entrare nel merito, è bene fare qualche premessa, a cominciare dalla materia di discussione: il suolo e il suo sfruttamento.
Il suolo è la più grande riserva di carbonio della Terra; gestito in maniera sostenibile è in grado di immagazzinare il carbonio diminuendo così le emissioni di gas serra, come CO2, nell’atmosfera, mitigando i cambiamenti climatici. L’agricoltura contribuisce per il 13% alle emissioni dei gas serra. Ed in un quadro che vede un incremento della popolazione nei prossimi anni del 22% con la conseguente richiesta di più cibo, lo sfruttamento del suolo suona come un campanello d’allarme inceppato.
Il cambiamento climatico contribuisce in maniera determinante all’impoverimento del suolo in termini di perdita di fertilità e quindi di produttività e il processo di desertificazione a cui si sta assistendo negli ultimi anni costa circa 30 miliardi di euro all´anno, secondo una stima della banca mondiale. E l´Europa non è immune dal problema, anzi: si stima che il 65% delle aree agricole dei Paesi del Mediterraneo siano già interessate dal fenomeno.
In questo contesto, la Csa è nata con lo scopo di definire le condizioni tecniche, politiche e di investimento per rendere l’agricoltura più sostenibile, più adatta ai cambiamenti climatici riducendo la produzione dei gas serra mediante interventi mirati, riassumibili in:
- Gestione intelligente delle colture e degli allevamenti come alternanza di colture, microdosaggi di nutrienti e fertilizzanti, miglioramento della qualità dei pascoli;
- Gestione dell’ecosistema che si traduce nella gestione delle risorse come l’acqua o nel favorire la biodiversità;
- Servizi per gli agricoltori come accesso alle informazioni climatiche stagionali o supporti economici quali crediti ed assicurazioni;
- Cambiamenti nella filiera di produzione degli alimenti implementando il processo di raccolta, stoccaggio, trasporto.
Questo approccio integrato si sta però scontrando con la realtà dei fatti. I ricercatori olandesi, analizzando criticamente i dati raccolti in questi anni e sottoponendo ad intervista un campione rappresentativo di agricoltori residenti in Italia, Francia, Olanda e Svizzera, hanno messo in luce uno scenario diverso da quello previsto dalla Fao. Innanzitutto, quest’approccio virtuoso ed integrato all’agricoltura risulta essere incomprensibile per i fruitori (gli agricoltori) i quali lamentano anche una scarsa conoscenza della Csa stessa. Non solo, l’adozione di nuove tecnologie come l’uso di droni per l’irrigazione di precisione ha alti costi e tempi di ammortamento troppo elevati. Gli agricoltori esprimono, inoltre, poca fiducia nelle nuove tecnologie proposte per la mancanza di prove dell’impatto positivo delle stesse (come le azioni di rimboschimento che prevedono tempi di gestione lunghi con risultati quindi non immediatamente visibili). Per finire, la politica e lo sviluppo tecnologico non vanno incontro alle reali esigenze dei coltivatori.
Lo studio evidenza quindi che esistono ancora effettive barriere socio-economiche alla diffusione della Csa in Europa. La gestione “smart” proposta dalla Fao sembra funzionare sulla carta ma la società non sembra ancora pronta per questi cambiamenti.
Riferimenti: Journal of Cleaner Production doi:10.1016/j.jclepro.2015.06.044
Immagine: via Pixabay
Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara.