Ci potrebbero essere molte più stelle in cielo, se non fosse che i buchi neri ne ostacolano la nascita. A spiegare per la prima volta come questi mostri celesti riescano a impedire la formazione di nuovi astri e il ringiovanimento delle galassie (anche a milioni di anni luce di distanza) è uno studio dell’Università di Bologna e dell’Inaf – Osservatorio Astronomico di Bologna, pubblicato sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
I giovani ricercatori – il primo autore Massimo Gaspari è del 1984 – studiano i buchi neri che si trovano al centro dei grandi ammassi galattici. Tali ammassi irradiano nello spazio circostante una notevole quantità di energia che dovrebbe portare a un raffreddamento del gas interno e quindi alla formazione di nuove stelle. Questo, però, non avviene e di conseguenza le galassie sono sempre più povere di astri e invecchiano.
Fino a oggi il motivo non era chiaro. I buchi neri erano i principali indiziati, ma ancora nessuno era riuscito a dimostrarlo. Ora, per primi, Massimo Gaspari e i suoi colleghi (Claudio Melioli, Fabrizio Brighenti and Annibale D’Ercole) hanno formulato un modello matematico secondo il quale i buchi neri emetterebbero getti di gas rovente ad altissima velocità, capaci di penetrare l’ammasso galattico per milioni di anni luce, riscaldandolo e compensando il calore disperso nello spazio esterno. In questo modo la temperatura degli ammassi galattici rimane elevata, il gas non si addensa e le stelle non si formano. “È ancora più sorprendente – osservano gli studiosi – se pensiamo che un buco nero, rispetto all’ammasso galattico circostante, ha le dimensioni di uno spillo in confronto al pianeta Terra”.
Per i calcoli necessari a provare la validità del modello i ricercatori si sono serviti del super computer del Cineca di Bologna. E la matematica ha dato loro ragione. Ora gli scienziati ripeteranno tutto il procedimento con un calcolatore della Nasa, dieci volte più potente di quello italiano. L’obiettivo è verificare se il modello riesce a spiegare ciò che accade in ammassi galattici più piccoli e perfino all’interno delle galassie, in modo che possa essere applicato all’intero Universo.
Riferimenti: Monthly Notices of the Royal Astronomical Society
doi:10.1111/j.1365-2966.2010.17688.x
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Puo avere questo qualcosa a che fare con la
massa oscura? Sarebbe uno sviluppo interessantissimo e fin’ora imprevisto della cosmologia…
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