Finora l’Anopheles gambiae e l’Anopheles stephensi, le zanzare che rispettivamente in Africa e in Asia iniettano il plasmodio della malaria nell’essere umano, hanno resistito a tutti i programmi internazionali di disinfestazione. Prima di tutto perché questi insetti hanno un comportamento profondamente diverso dagli esemplari di Anopheles che infestavano, per esempio, le paludi italiane all’inizio del Novecento: al contrario di quelle, infatti, le zanzare africane si giovano dell’urbanizzazione e più che popolare le vaste paludi prediligono le piccole pozzanghere. Una strategia che, unita alla mancanza di infrastrutture e alla povertà cronica che affligge le popolazioni in via di sviluppo, permette a questi insetti di uccidere ogni anno un milione e mezzo di bambini africani e di infettare nello stesso periodo 300.000 persone solo nel Continente Nero.
“Dal misero fallimento degli sforzi fatti finora è nata l’idea di modificare geneticamente la zanzara in modo da renderla innocua”, spiega Andrea Crisanti biologo all’Imperial College di Londra. Insieme a un gruppo di ricerca di cui fanno parte anche il Wellcome Trust e l’Università di Perugia, Crisanti da due anni studia il comportamento proprio dell’Anopheles transgenica, di un insetto cioè il cui patrimonio genetico è stato modificato in modo da non permettere al suo interno la proliferazione del Plasmodium falciparum, il microrganismo responsabile della malaria. E ora il ricercatore pubblica su Science i risultati del primo studio di competitività fra un insetto prodotto in laboratorio ed esemplari che si trovano in natura. “Abbiamo valutato la capacità della zanzara modificata di riprodursi in presenza di individui normali”, spiega Crisanti.
A un primo sguardo i risultati degli esperimenti di competizione e di adattamento all’ambiente possono apparire sconfortanti: messi nella stessa gabbia insieme a una popolazione eterogenea, gli esemplari transgenici soccombono. “La loro fragilità è data da una parte dall’aver danneggiato il loro Dna inserendovi un gene estraneo, dall’altra dalla loro omogeneità genetica, dall’avere cioè tutte lo stesso corredo genetico, che riduce le possibilità di adattamento all’ambiente”, va avanti il ricercatore. Messi però a confronto con una popolazione composta da una sola varietà di zanzare, gli insetti modificati hanno dimostrato maggiori possibilità di successo.
Dallo studio pubblicato su Science, quindi viene un’indicazione sulla strada da percorrere per realizzare una zanzara in grado di competere sul campo. “Prima di rilasciarla si dovrà incrociare la zanzara transgenica con una varietà già presente nell’ambiente, così da ristabilire la variabilità genetica”. Come però essere sicuri che l’Anopheles “disattivata” una volta immessa in natura tramandi ai suoi discendenti la caratteristica di non trasmettere la malattia e che questa non vada persa in incroci successivi? “Bisognerà utilizzare meccanismi per spingere il gene nell’ambiente”, va avanti Crisanti, “ovvero i trasposoni, enzimi capaci di tagliare e cucire il Dna nel punto dove si deve inserire il gene, poi di copiarlo e di ripetere l’operazione da un’altra parte”.
Utilizzando questi “meccanismi di spinta”, quindi, la mutazione del genoma della zanzara si potrebbe presto diffondere a tutte le specie presenti in natura. “Testare questa capacità sarà la prossima tappa dei nostri studi”, dice il biologo. Che però non nasconde il lato debole, se così si può dire, di questa soluzione, che pone notevoli problemi di sicurezza ambientale. “Basti pensare a ciò che è successo alla Drosophila, il moscerino della frutta”, aggiunge il ricercatore. “I cambiamenti nel corredo genetico di questo insetto ottenuti con i trasposoni si sono trasmessi a tutti gli esemplari in natura”. In pratica, oggi il moscerino della frutta ha un genoma diverso da quello che aveva negli anni Trenta, quando iniziarono gli esperimenti genetici.
Insomma, è dubbio che dalla zanzara transgenica possa venire in tempi rapidi una risposta all’emergenza malaria. “I nostri studi dovranno essere affiancati da altre valutazioni di carattere ambientale, etico e sociale”, sottolinea Crisanti. Temi, questi, ancora tutti da esplorare. E proprio l’assenza di valutazioni di queste genere solleva dubbi sull’impatto ambientale che il rilascio di questi esemplari potrebbe avere. “Già in occasione della pubblicazione del genoma dell’Anopheles”, rassicura però il biologo italiano, “la comunità scientifica ha deciso di non procedere a esperimenti di rilascio nell’ambiente prima di aver verificato scrupolosamente gli eventuali rischi”. Come dire, per vedere la zanzara transgenica in azione ci vorrà ancora molto tempo.