Forse, informati e consapevoli, bruceremo meno. O forse non cambierà granché, anche dopo questa scoperta: e cioè che il fuoco del peperoncino è dovuto ad una sostanza nascosta al suo interno che entra come una chiave in una serratura microscopica, alloggiata nelle fibre nervose della bocca, sensibili al dolore e al calore.
Alla descrizione dettagliata del recettore della capsaicina – così si chiama la sostanza infiammante – il settimanale scientifico Nature dedica addirittura sei pagine e un editoriale di commento. Se Michael Caterina, Mark Schumacher, Makoto Tubinga, Tobias Rosen, Jon Levine e David Julius del Dipartimento di farmacia molecolare e cellulare dell’Università della California sono stati presi da una così piccante curiosità, non è stato solo per la popolarità del pepe di Cayenna, o memori che il diario di Cristoforo Colombo riporti il 15 gennaio 1493 la nota che l’isola di Hispaniola vantava una “spezia migliore del nostro pepe”. Con tutto il rispetto, c’era altro di mezzo.
Era noto da anni quale fosse la molecola responsabile della sensazione di bruciore che gli abitanti dei Caraibi hanno battezzato con una parola che somiglia a “ahi”. Ed era facile prevedere che in quanto succede al contatto peperoncino-mucosa della bocca fossero coinvolte le terminazioni nervose del dolore. Che cioè fosse la loro stimolazione ad attivare il circuito nervoso mediatore della sensazione di bruciore.
I ricercatori statunitensi hanno chiarito i retroscena di ciò che succede all’inizio, al primo contatto capsaicina-mucosa. Innanzitutto hanno confermato ciò che si sospettava, e cioè che la sostanza si lega a un recettore posto di traverso sulla membrana delle fibre nervose. Il contatto tra i due fa entrare nelle fibre degli ioni calcio presenti in zona, e questo per la genesi di un impulso nervoso equivale ad aver valicato il Rubicone. Inoltre è stato possibile seguire alla moviola gli eventi grazie a una piccola impresa d’ingegneria molecolare. I ricercatori hanno studiato per benino l’architettura molecolare del recettore e così hanno potuto costruire una molecola di Dna complementare, o cDna, un segmento della molecola della vita con le istruzioni per produrre il recettore. Fatto questo – scrivono – ”è facile inserire il cDna in cellule immortali di laboratorio che, a quel punto, espongano sulla membrana cellulare il recettore”.
La costruzione di copie ad libitum del recettore, cioè il suo clonaggio come lo chiamano i biologi molecolari, allarga il nostro sguardo sul panorama dei recettori delle cellule nervose, in particolare quelli che come in questo caso controllano il flusso esterno-interno di sali minerali e quindi anche l’attività nervosa. “Ma sarebbe interessante”, conclude in una nota di commento David Clapham, ricercatore alla Harvard Medical School, “identificare eventuali sostanze presenti nell’organismo e che usano quel recettore come porta d’ingresso nelle cellule. Questo potrebbe portare alla identificazione di nuovi analgesici”. A pensarci bene: tutto per quel bruciore.