Harold Varmus, premio Nobel per medicina nel 1989, annuncia la creazione di una nuova rivista scientifica, gratuita e pubblicata sul web, che pubblicherà i propri articoli senza sottoporli al giudizio dei referee. Scopo: ridurre i costi di accesso ai risultati della biomedicina. Ma chi garantirà i lettori dagli errori e dalle frodi scientifiche? “L’importante è che queste pubblicazioni rimangano ben distinte da quelle normali”, risponde a Galileo Anna Maria Scarda, direttrice dell’Istituto di studi sulla ricerca e documentazione scientifica del Cnr di Roma.
Tra le centinaia di nuovi siti Internet creati ogni giorno, uno era atteso da tempo dalla comunità scientifica internazionale. Si tratta di PubMed Central (http://pubmedcentral.nih.gov), una rivista dedicata alla ricerca biomedica e pubblicata online dai National Institutes of Health (Nih – http://www.nih.gov) statunitensi. La novità è che PubMed Central dovrebbe adottare criteri piuttosto inusuali per la selezione dei lavori da pubblicare. In sostanza la rivista non si affida al tradizionale sistema della “peer review” (il giudizio di una commissione di esperti che valuta la correttezza scientifica di un articolo e l’opportunità di pubblicarlo), ma dovrebbe dare spazio a qualunque teoria o ricerca di laboratorio che l’autore ritenga degna di proporre ai propri colleghi. Per la verità, a due mesi dall’esordio del sito, non è ancora chiaro se questi criteri “estremi” saranno davvero adottati, anche perché la nascita della nuova rivista è stata accompagnata da una buona dose di polemiche tra gli addetti ai lavori.
L’idea di PubMed Central venne lanciata nella primavera dell’anno scorso, quando Harold Varmus, direttore degli Nih e premio Nobel per medicina nel 1989, annunciò (http://www.nih.gov/welcome/director/pubmedcentral/ebiomedarch.htm) la creazione di una nuova rivista scientifica, gratuita e pubblicata sul web, che avrebbe pubblicato i propri articoli senza i consueti filtri. Nome prescelto: “E-biomed”. L’intenzione era sfruttare le opportunità della rete per migliorare la comunicazione scientifica e accelerare la pubblicazione di articoli in campo biomedico. E soprattutto ridurre i costi di accesso alle informazioni scientifiche. Per un’università di un paese in via di sviluppo anche l’abbonamento a una rivista può avere un prezzo inaccessibile.
Ma l’annuncio ha sollevato non poche polemiche: non c’è il rischio di veder circolare teorie prive di fondamento? Ultimamente, non sono infatti mancati i casi di scienziati che, in buona o in cattiva fede, hanno pubblicato risultati sbagliati, copiati o persino falsi. Il problema è particolarmente sentito in campo biomedico sia per i risvolti sociali della disciplina sia per grossi capitali messi in gioco dalle case farmaceutiche.
Il dibattito che è seguito ha portato Harold Varmus ad aggiustare il tiro: un nuovo nome, “PubMed Central”, e un controllo “rapido” dei contenuti affidato a esperti esterni ai National Institutes of Health. Inoltre gli editori di “PubMed Central” assicurano che, anche se sul loro sito saranno pubblicate le versioni integrali di articoli già apparsi su riviste “normali”, queste saranno ben distinte dagli articoli non passati attraverso il filtro del peer review. Insomma non sarà possibile confondere risultati accettati dalla comunità scientifica con lavori ancora in attesa di verifica.
Il problema è che il sistema della peer review, introdotto circa un secolo fa, comincia a mostrare qualche limite. Il compito delle commissioni di esperti sta diventando sempre più difficile: ogni anno vengono inviati migliaia di articoli, molti dei riguardano esperimenti lunghi e complessi che non è possibile riprodurre, come vorrebbero le regole del metodo scientifico. Risultato: i tempi di pubblicazione e diffusione dei lavori si allungano. Se non bastasse, a volte qualcosa sfugge alle maglie della peer review e articoli pubblicati su riviste autorevoli (e che magari hanno destato anche l’interesse dell’opinione pubblica) si rivelino poi scorretti. Purtroppo, raramente la smentita suscita altrettanto interesse dell’annuncio originale.
In questo contesto, se da un lato PubMed Central, senza peer review, potrebbe snellire le procedure di pubblicazione, dall’altro potrebbe rendere ancor più difficile smascherare chi farà entrare nel circolo dell’informazione biomedica dati sbagliati e conclusioni infondate. “Il fatto che sia un istituto di ricerca pubblico ad avanzare questa proposta lascia perplessi”, afferma Anna Maria Scarda, direttrice dell’Istituto di studi sulla ricerca e documentazione scientifica del Cnr di Roma, “tuttavia è vero che i tempi del processo di peer-review stanno diventando incompatibili con la rapidità con cui si producono nuovi dati e il processo stesso a volte può essere deviato da interessi commerciali o dai contrasti tra lobby di scienziati. L’importante è che queste pubblicazioni rimangano ben distinte da quelle normali, in modo che chi legge sappia chiaramente di avere a che fare con materiale non attentamente verificato”.