Sprite, la navicella è micro

È ben noto che qualsiasi cosa, ridotta alle dimensioni di una particella di polvere, è in grado di galleggiare nell’aria pressoché indefinitamente, come del resto avviene per le antipaticissime polveri sottili, quelle che affliggono l’atmosfera delle grandi città. Galleggiare nell’aria certamente, ma anche nello spazio esterno. Proprio quest’ultima osservazione è alla base del progetto avviato da Mason Peck presso la Scuola di ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università Cornell (Ithaca, USA). Che si propone di realizzare minuscoli veicoli spaziali, denominati Sprite, senza motore proprio, i quali dovrebbero muoversi in orbite non kepleriane sotto l’azione di quelle forze che nell’arte spaziale costituiscono effetti di disturbo al moto. Ma traendo anche vantaggio, lungo le autostrade gravitazionali, delle spinte ottenute dalla gravità dei corpi celesti come aveva proposto, e attuato, il grande nostro studioso Giuseppe “Bepi” Colombo qualche decennio fa.

I  progressi della miniaturizzazione consentono oggi, infatti, di costruire microsistemi che integrano elettronica, micromeccanica e sensoristica, che potrebbero costituire una svolta di grande interesse nell’esplorazione dello spazio. I prototipi realizzati attualmente pesano attorno a 10 grammi ma l’obiettivo è di arrivare a Sprite molto più leggeri, con peso fra 5 e 50 milligrammi, tali cioè che le forze proporzionali alla loro superficie, in particolare la spinta dei fotoni solari, diventino dominanti rispetto a quelle proporzionali alla loro massa. Ciascuno dotato della capacità di eseguire soltanto un determinato tipo di misura (temperatura, campo magnetico locale, numero di particelle cariche che lo colpiscono, …) e di trasmetterlo a una stazione di terra.

Per esempio, lanciando alcune migliaia di Sprite nella regione fra la Terra e il Sole, si verrebbe a disporre di informazioni molto interessanti sull’andamento dei fenomeni osservati in funzione sia del tempo che dello spazio, contemporaneamente. Ai fini di una missione siffatta, è chiaro però che almeno una parte di questi minuscoli oggetti, evidentemente privi di qualsiasi schermo protettivo, dovrebbero poter sopravvivere alle minacce dell’ambiente spaziale: micrometeoriti, particelle cariche di alta energia, variazioni estreme di temperatura e via dicendo.

È per questo che nel maggio scorso la navetta spaziale Endeavour ha portato sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) alcuni prototipi di Sprite, che sono poi stati montati sull’esterno della stazione allo scopo di esporli all’ambiente spaziale durante un periodo di prova che durerà due anni. I risultati dell’esperimento stabiliranno anche se i segnali della “radio di bordo” possono essere rilevati a terra. In effetti la potenza disponibile per la trasmissione è modestissima (qualche milliwatt proveniente da minuscole celle solari), anche a fronte della distanza in gioco, sicché si prevede che il rapporto segnale/rumore al ricevitore sia decisamente inferiore all’unità. Ma il sistema dovrebbe funzionare, grazie all’impiego di tecniche di elaborazione del segnale molto raffinate, le stesse utilizzate nel GPS e nei telefonini. Ogni bit d’informazione sarà infatti trasmesso nella forma di 512 variazioni della fase della radiofrequenza (920 MHz) emessa dall’antennina degli Sprite, consentendo di recuperare il segnale anche nelle difficili condizioni anzidette. Variazioni di fase specifiche, uniche per ciascun diverso trasmettitore, consentendo dunque di assegnare univocamente il segnale ricevuto allo Sprite emittente. La trasmissione non sarà continua, ma nella forma di beep (fiotti di radiofrequenza) attivati quando l’energia immagazzinata a bordo risulterà sufficiente, la cui temporizzazione potrà fornire informazioni sull’angolo di incidenza dei raggi solari sulle celle solari di bordo.

Per finanziare gli sviluppi successivi del progetto, cioè estendere gli studi di base sulla fisica dei piccoli oggetti, spingere ulteriormente la miniaturizzazione degli Sprite e poi lanciarli effettivamente nello spazio, Zachary Manchester, uno dei dottorandi del gruppo spaziale di Cornell, ha avviato una campagna per la raccolta di fondi (a cui tutti possono partecipare, come si apprende sul sito www.kickstarter.com). Fra le prospettive a più lungo termine offerte da questa nuova tecnologia, va menzionata l’esplorazione del sistema solare, e addirittura i viaggi oltre i suoi confini, sfruttando sia la spinta dei fotoni solari (una lastrina di 20 micron dal peso di 7,5 milligrammi sarebbe soggetta a un’accelerazione di 0,06 mm/s) che i campi magnetici interplanetari, grazie alla cosiddetta propulsione di Lorentz.

Appare tuttavia difficile immaginare la possibilità di ricevere a terra i segnali emessi dagli Sprite, in queste missioni, necessariamente debolissimi in partenza e attenuati poi dalle enormi distanze in gioco.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero Sapere di Febbraio 2012 con il titolo “Sulle ali del vento solare”. Ecco come abbonarsi alla rivista. 

Immagine: L’astronauta della Nasa, Andrew Feustel, fotografa alcuni prototipi di Sprite appena montati sulla Stazione Spaziale Internazionale, 2011. Credit: Nasa 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here